sabato 7 maggio 2011

La politica a Latina è un circo belga

Qualche sera fa stavo leggendo le istruzioni del nuovo aspirapolvere. Quello che avevamo in casa ha deciso di abbandonarci dopo sette anni di servizio indefesso (e decisamente sopra la media; forse ha finto di morire). L'ho portato all'isola ecologica e amen. Mentre mi accanivo sulla funzione della doppia spazzola in dotazione ha squillato il cellulare: era uno dei miei più cari amici.
“Ma il Cirque du Soleil è nato in Belgio?” mi fa, senza neanche darmi il tempo di dire “pronto”. Sono scoppiato a ridere perché ho capito subito di che stava parlando e gli ho voluto un po' più bene.
Ho letto infatti che il centrodestra vuole inaugurare l'Ars Lab all’ex Rossi sud, «una “factory” sul modello di quella che in Belgio ha dato vita al Cirque du Soleil».
Il Cirque du Soleil in verità è nato in Quebec, cioè in Canada e non mi risultano Ars Lab tra i padri fondatori. Ora, non è che io voglia sottilizzare, però un errore grossolano così mi fa pensare che Di Giorgi non sappia proprio di cosa stia parlando; i giornali e le agenzie che hanno riportato la notizia poi mi sembrano un tantino ossequiosi. Anzi no, sono proni. «La prima opera che metterà in campo Ars Lab sarà proprio uno spettacolo di Franco Dragone, l’inventore del Cirque du Soleil ».
In realtà ne è un regista importante ma non l'inventore.
Ad ogni modo, ammesso che sia una cosa concreta, con reali possibilità almeno di attivarsi, questo Ars Lab punta – stando a tutte le dichiarazioni – a formare, direi in sintesi, protagonisti e tecnici dello spettacolo (e, pare, della moda). Penso sinceramente che per la gioventù di Latina, figlia di generazioni innamorate allo spasmo dell’apparenza e catalizzate dalle multiformi Marie de Filippi che girano nel circuito dell’unico responsabile educativo nazionale, il televisore, questo sarà davvero il colpo di grazia. La ratifica della politica latinense (ma anche di tutta Italia) da cinquant’anni: “Ti do poco ma ti chiedo poco”. Se chi ha avuto e avrà la responsabilità dei giovani della propria città assegna un ruolo di punta alla formazione in un campo velleitario e di scarsa capienza occupazionale, fatto di speranze da rotocalco (nonché di soldi facili, ça va sans dire, come commenterebbero nel Quebec) o di lavoro tecnico negli studi televisivi, è evidente la cifra intellettuale e la capacità di analisi sociale della politica.
Puntare sui giovani è tutto un altro paio di maniche; anzi, è proprio un altro abito.
Si tratta di dargli l’opportunità di partecipare consapevolmente a gestire la società, condividendo con loro i valori e liberandoli dai – scusate il termine desueto - fattori di oppressione. Bisogna assolutamente cambiare però le situazioni sociali vigenti, senza attendere la manna dai ministeri: facciamo noi da traino per la nazione, creiamo un'eccellenza nella formazione e nel coinvolgimento delle nuove generazioni.
Qui a Latina si pensa ai giovani per farli divertire nei locali (sostanzialmente unica forma di intrattenimento, di socializzazione e di stimolo culturale che si promuove) e per fargli attaccare i manifesti elettorali con la scusa della partecipazione politica. Basta fare un giro in strada per capire se a queste elezioni, dopo più di un anno di reggenza del commissario, si è arrivati operando un reale coinvolgimento giovanile o se c’è stata la solita distribuzione di viagra dell’entusiasmo pre elettorale a vantaggio dei soliti personaggi da cartellone 6x6.
L’unica istituzione inoltre (si può chiamare così?) che impegna le proprie energie per la formazione sociale è la Chiesa. Si può convenire che ci sia almeno la necessità di garantire alla parte laica della Città l'educazione a valori condivisi di solidarietà e partecipazione senza la necessità della confessione religiosa? È o no questo il compito della politica? Invece anche le amministrazioni delegano alla Chiesa oppure se ne fregano. Non c’è niente di peggio, mi permetto, di appiattirsi su questo percorso, di alimentare cioè la considerazione fideistica che si ha della partecipazione politica, generatrice di amministratori che si pongono come sacerdoti se non come vere e proprie manifestazioni di un dio elargitore (bisognerebbe anche considerare come avviene nelle parrocchie il reclutamento di questi educatori che, tranne rari casi che conosco di persona, sono totalmente impreparati culturalmente alla formazione e scelti sulla base di una spesso solo presunta devozione e sensibilità vocazionale). Il discorso sarebbe lungo e partirei per la tangente. Senza inalberarsi, guardate i risultati.
Comunque il concetto è semplice: osservare la nostra struttura sociale e provare a immaginare una soluzione che valorizzi le caratteristiche intrinseche delle nuove generazioni.
I nostri ministeri, le nostre istituzioni pubbliche, i nostri uffici sono inzeppati di anziani, non anagraficamente ma intellettualmente; gente impigrita o annientata da anni o decenni di impiego statale retribuito a prescindere da rendimento e capacità professionale. Sono luoghi tutti italiani in cui vince il più furbo e la colpa è sempre degli altri; luoghi del “se non ci fossi io!”; luoghi in cui si depreca in pubblico quello di cui si approfitta nell’ombra (un’ombra a dire il vero trasparente e cristallina). Molti di questi pensano che il computer sia un demiurgo, scrivono con un dito solo sulla tastiera e stampano quintali di documenti in triplice copia.
Puntare sui giovani è puntare sulla loro capacità di svecchiare e di rinnovare sfruttando gli strumenti cui sono avvezzi e che la generazione precedente non vuole imparare ad usare. A Latina si costruirebbe un'eccellenza nazionale, paragonabile solo a esperienze estere, se ci si adoperasse per incanalare l’energia creativa dei giovani nello sviluppo, nello snellimento della burocrazia, nella semplificazione della vita dei cittadini. È chiaro che c’è la necessità di una formazione che li educhi a usare la loro estrema dimestichezza coi mezzi di comunicazione informatici - e con internet in particolare - per partecipare al miglioramento della città e non solo per scaricare video e musica o per chattare. Il coinvolgimento dei giovani si opera dando loro importanza e assegnandogli un ruolo attivo, non con la politica del panem et circenses o del ti do poco ma ti chiedo poco. La rotta del centrodestra è: vuoi il mondo che vedi in tv? Bene, siccome piace tanto anche a me facciamo una bella scuola a Latina per diventare il più possibile come quelli che ci piacciono.
Poi ti puoi riempire la bocca di biblioteche e di rete di biblioteche (mamma mia quanto fumo) ma se i giovani vedono che tu punti sul Cirque du soleil per le nuovi generazioni di questa città, i libri non li vanno a cercare né in biblioteca né altrove. Rete di biblioteche, si dice da parte di quelli che riempiono la bocca di cose che non conoscono: provate a chiedergli a cosa servirebbe una rete di biblioteche e se realmente si può fare a Latina. Vi risponderà gente che non sa che esiste l’OPAC. Allora andate a digitare su internet, nel vostro motore di ricerca preferito, la parola OPAC e vedrete che esiste una rete nazionale di biblioteche: voi cercate il titolo o l’autore o il soggetto e non solo vi dirà quante pubblicazioni esistono ma in quali biblioteche potrete trovarlo su tutto il territorio nazionale. E questi vogliono fare la rete delle biblioteche (ma poi quante biblioteche ha Latina?) di Latina. E c'è pure chi li vota!
Adesso però non fate gli snob, cari lettori di sinistra, non cominciate a dire che se ci fosse la biblioteca Stirling con le sue belle vetrate (centrosinistra, solita pappa da vent’anni) ci sarebbe più attrattiva per i giovani, un polo intorno al quale organizzare iniziative culturali etc. etc. Qui non è un problema di luoghi fisici ma di luoghi mentali. Per coinvolgere i giovani e trasformarli in creatori di una rete di servizi migliore per la città basta una stanza, qualche computer e la voglia di scommettere su di loro, che li entusiasmi nel far diventare internet uno strumento di enorme potenza che favorisca la ricerca, lo sviluppo e la semplificazione. Una risorsa, non un surrogato di sale d’intrattenimento, pubblicità e seconde vite.
Di fronte ad una maggioranza di impiegati statali che parlano male della burocrazia, salvo obbligarti a produrre quintali di carta per evitare assunzioni di responsabilità; di fronte a gente cui viene assegnata la email del ministero in qualità di impiegati o funzionari che è convinta di non poterla controllare da casa perché “posta dell’ufficio”; di fronte a maniaci del cellulare alla moda che usano internet come mezzo di abbrutimento anziché di emancipazione, solo una città che si impegni con i giovani e non al posto loro, a formarli, a renderli consapevoli delle potenzialità creative insite nel lavoro quando è davvero fatica, intellettuale o fisica, può davvero sperare in un futuro migliore.
Il concetto di biblioteca è sbagliato, così come proposto sia a destra che a sinistra. La biblioteca è uno strumento, di ricerca, di studio certo ma soprattutto di emancipazione culturale. Non è una sala lettura per i libri che ti porti da casa. A Latina la biblioteca è da generazioni il luogo dove molti studenti universitari vanno a studiare. I libri a disposizione rimangono sugli scaffali, ergo il luogo non svolge la sua funzione. Adesso, a rischio di essere impopolare, vorrei dire che la biblioteca di Latina è all’ottanta per cento un bivacco. Nessuno di quelli che ci va per studiare poi ci torna per qualsiasi altro motivo legato alla destinazione d’uso. I libri potrebbero incollarli o mettere quelle librerie tipo negozio di mobili. L’impressione, magari sbaglio, è che si cerchi nel luogo fisico quell’aura di serietà dello studio, quella sensazione di solennità dell’impegno che non si riesce a trovare in sé stessi.
Occorrerebbe una seria scommessa sulla gioventù, una scommessa che, diciamolo chiaro, costerebbe assai meno dei porti, delle terme, delle metropolitane leggere, degli Ars lab, dei finti infopoint, degli intrallazzi tra politici e imprenditori e anche delle date zero di Vasco Rossi, regalando alla città una risorsa infinita per il futuro.
Il governo nazionale non spende per i corsi di formazione sull’informatica, sulla razionalizzazione dei servizi, le lingue straniere, sulla specializzazione nei lavori difficili (tornitori, fresatori, falegnami)? Bene, lo facciamo noi. Poi ci dovrete venire a pregare! Pensate cosa sarebbe Latina se un’amministrazione investisse nel far diventare i propri giovani, al di là delle istituzioni scolastiche o in convenzione con esse, esperti di internet - come strumento di commercio e comunicazione - e di lingue (inglese, cinese, giapponese). Basterebbe investire su queste cose e dunque sullo sviluppo anziché benedire crociate fallimentari per porti, areoporti, misteriosi musei subacquei, miopi intermodali e chi più ne ha più ne metta.
È ovvio naturalmente che se si vuole alimentare le categorie economiche che attualmente funzionano, basando la città sull’economia reale, è necessario trovare chi in provincia rimetta l’industria e favorisca l’agricoltura. Occorre realizzare prodotti attraenti e unici, cercare investitori e compratori. Occorre cioè: creare lavoro, lavoro creativo. Non bastano le migliaia di posti (locali pubblici, centri commerciali, parchi giochi) dove spendere i soldi. Servono quelli per guadagnarli.
La Polverini, commentando le parole di Di Giorgi sull'Ars Lab ha detto: «Noi investiamo molto sui giovani e sull’industria dello spettacolo». Nella testa di queste persone, giovani e amici di Maria (de Filippi) sono la stessa cosa. Io non so come si può votarli e guardare al futuro con speranza.

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