martedì 26 aprile 2011

Consapevolezza e altre virtù estinte

Sono fermamente convinto che non rivivrei nemmeno un minuto della mia vita, nemmeno il più bello. Provarci è un esercizio inutile e di pronta deriva nel qualunquismo melenso. Dipingere però in sé stessi ogni singolo avvenimento, ogni singolo ambiente che l'ha incorniciato e ogni singolo oggetto che l'ha caratterizzato è quello che si chiama consapevolezza.
Ho il ricordo di una Latina di fine anni Settanta, umile, un po’ grezza, ancora un po’ affamata e alloccata, terra di conquista delle multinazionali e terra di fatica; una città che avrebbe potuto generare un gruppo di persone sensibili e aperte alle reali esigenze della collettività.
Non è poi tanto difficile mettere a fuoco nella memoria le case e le atmosfere di quelle famiglie che, come la mia, vivevano a duecento metri dal centro, in piena periferia. Gente di fabbrica, di lavoro, di tv in bianco e nero.
Nel tempo c’è stato però un diffuso adeguamento a modelli edonistico televisivi, tale da costringere molti a un superficiale tentativo di riscatto da quelli che nei miei ricordi sono gli “umili” anni Settanta. Sembra che ora si debba mostrare a tutti i costi ciò che non ci si può permettere per condizione economica, per età, per ignoranza (il più delle volte tutte e tre le cose insieme).
Le fabbriche scappano dopo averci spremuto come limoni, il lavoro diventa solo precario e fonte di preoccupazione, le famiglie si arrabattano per arrivare alla fine del mese senza - in cambio delle tasse pagate - uno straccio di tessuto sociale sul quale riporre un minimo di speranza; intanto però vedo genitori dei miei coetanei, ormai ultrasessantenni a dir poco, coi pantaloni a vita bassa, gli occhiali a specchio e il SUV a rate. Gli stessi ai cui figli non potevo telefonare alle elementari perché non avevano il telefono e che votavano per l’accensione minima del riscaldamento centralizzato nei loro appartamenti affacciati sul fango. Gli stessi che vivono tranquillamente senza che gli si pulisca la strada in cui abitano o che visitano rassegnati un parente all'ospedale, in un reparto affollato come un treno di Pasquetta sulla Roma Napoli.
Nella rincorsa ottusa verso un'apparenza di benessere, non regalato ai propri figli e falsamente conquistato per sé, si consuma una totale, rassegnata indifferenza per i propri diritti che bruciano appena fuori dalla porta di casa.
A Latina vedo un popolo che quotidianamente rigetta la possibilità di costruire speranze mettendo a frutto il proprio vissuto; un popolo che sputa su quei valori puri che avrebbero potuto rendere una comunità di immigrati spiantati una risorsa di sensibilità per l'Italia devastata. Un popolo che, vergognosamente imbarazzato dalle proprie origini, cerca di cancellarle a colpi di prestiti bancari e, proiettato verso un'illusoria e mai serena felicità fatta di mete esotiche, automobili e wine bar, distrugge la sola concretezza che gli era stata regalata: la consapevolezza di saper compatire e solidarizzare.
Questa indifferenza indotta e assimilata permette a chi ha un po’ di iniziativa e un briciolo di opportunismo - pur privo di preparazione (e a volte di cervello) - di ritagliarsi feudi intoccabili, economici, politici, commerciali, culturali. La parossistica mostra di sé che fanno alcuni, beneficiando della fatica dei padri è un aspetto del medesimo problema. Non si tratta qui di giudicare le modalità che hanno portato alle grandi disponibilità private ma dell'uso che se ne fa ora sul piano del rapporto con la colletività. Nell'opinione comune - anche dei loro elettori - i detentori di capitali e di potere politico si candidano per la città o per sé? Si accetta però e si spera che, lavorando per sé, concedano gli avanzi ai galoppini.
Anche all'interno di quello che è ritenuto erroneamente il più innocuo dei campi di attività sociale ci sono occasioni di profonde riflessioni.
La cultura, ad esempio, a Latina vuole essere assolutamente autoreferenziata. Qualunque persona si occupi di cultura lo fa credendo la città al centro del mondo e sé stesso al centro della città. Così chi riesce a impadronirsi di un microfono, di una pagina, di una telecamera, parla e non pensa necessario ascoltare; scrive e non legge. E difende a spada tratta le “espressioni locali”, “gli emergenti”, “le identità culturali” senza inserire mai questa dannata Latina in atmosfere di respiro ampio, di dibattito, di confronto sovralocalistico. Alcuni diventano intellettuali “locali” o artisti “locali”, solo perché l'ha deciso il politico o l'assessore di turno. In campagna elettorale si coinvolgono i “rappresentanti della società civile” con orde di autoproclamati protagonisti della cultura appena svegliatisi la mattina dopo lunghi sonni nel bivacco della totale aprogettualità (magari sognando, parcheggiati all'università). Più si fa leva sulle ambizioni (magari del tutto ingiustificate) di pseudo artisti, scrittori, registi, critici, galleristi, attori, fingendo di voler garantire loro una visibilità almeno a livello locale (che magari neanche meritano) e più si allarga il consenso politico e la propria fetta di potere.
Ci si continua a guardare l'ombelico invece di impegnarsi a proiettare Latina nel cammino dello sviluppo economico e culturale; un cammino basato sul confronto nazionale ed europeo senza il quale rischiamo l'implosione, di tracollare cioè sulle nostre stesse fondamenta, privi di classe dirigente.
Bisogna faticare e sforzarsi per costruire, per formare giovani competitivi.
Il tema della capacità competitiva è cruciale: l'unico modo per non regredire a livello economico, industriale, agricolo, sociale è cercare di migliorarsi ed essere i migliori. Non basta dire bravo (oltretutto senza esserlo) tra di noi, poiché diventiamo un ghetto sempre più sconosciuto e lontano.
Il concetto è che Latina dovrebbe tutta, in ogni campo, proporre eccellenze col lavoro, l'impegno, lo studio, la ricerca, lo sviluppo, l'impresa; sono gli altri a dover venire a copiarci e a complimentarsi.
Dire “sono bravissimo ma non mi considera nessuno” non basta; sei solo un coglione fino a che non saranno i fatti a dimostrare il contrario. E i fatti a Latina mancano sempre, a ben guardare.
Scommettere sui giovani, formarli perché siano in grado meglio di tutti di affrontare le sfide che incalzano a livello mondiale non può essere solo uno slogan. Né è possibile che la formazione sia appannaggio solo di chi se la può permettere a suon di migliaia di euro; una città che ci crede deve consentirla a tutti, specie a chi è economicamente disagiato. Solo così ci si garantisce il futuro e si incentiva la mobilità sociale, unica vera speranza di sviluppo. Che diavolo di competitività si pensa di ottenere favorendo ogni tipo di precariato e senza esercitare alcun controllo sul lavoro e sulla formazione?
Sento spesso, a destra e sinistra, dire “Latina è troppo schiava della vicinanza di Roma”. Però non ho sentito una proposta sensata scaturita da questo innegabile assunto. Possibile che nessuno realizzi che evidentemente noi non facciamo niente meglio di Roma? Altrimenti ci sarebbe qualche pendolare in meno e qualche opportunità in più. Se al teatro G. D'Annunzio ci mettessi solo attori improvvisati del dopolavoro ad esempio (in nome dell'esclusiva promozione delle cosiddette realtà locali che si vorrebbe fare sia da destra che da sinistra), potrei pretendere che la cittadinanza, almeno ogni tanto, non vada a Roma a vedersi gli attori veri? Sta tutto qui il ragionamento. Ed è facile estenderlo a qualsiasi campo della produzione umana.
La provincia invece è stata massacrata; si è concesso, imbelli, a qualsiasi azienda di scappare; si sono cancellate tutte le opportunità di lavoro se non quelle derivanti da raccomandazione politica; si sono ridotti gran parte degli agricoltori alla protesta continua. Non solo, la cosa più grave, da veri bastardi, è aver impedito alle famiglie di scommettere sul proprio futuro. Come si può non vergognarsi guardandone i salti mortali mentre l'unico vero stato sociale cui persino il comune si affida, sono i nonni (ancora il passato anziché il futuro)? Che governo disumano ed egoista è quello che accetta asili senza posto per tutti e riforniti di carta igienica dagli stessi genitori che dovrebbe sostenere? Che idea predatrice si ha delle istituzioni quando vengono pagate consulenze e privatizzazioni a vantaggio unico dei singoli? Non esiste coscienza intellettuale, capacità di solidarietà, senso dello Stato.
Intanto coloro che hanno governato finora usano come slogan “la politica del fare”. Per non parlare di chi si allea con loro e contemporaneamente si propone come “garante del cambiamento”.
E l'opposizione, in un tale sfacelo, compare solo due mesi prima del voto, così, giusto per garantirsi almeno quei quattro feudi che le hanno concesso.


lunedì 25 aprile 2011

Articolo su Il Futurista nato dai commenti

Cliccate qui e leggete l'articolo su il futurista nato dai commenti nel blog. (dibattito familiare assai utile sul piano generale).

mercoledì 20 aprile 2011

Distinzioni ideologiche e pratica della politica: un caso fallimentare



Al liceo odiavo dover ripetere a memoria quanto mi dicevano i professori, odiavo l’impossibilità di costruirmi una personale visione delle cose, odiavo dover scrivere quello che l’insegnante si aspettava di leggere sul foglio del compito in classe. Così coltivavo banalità per riempire i fogli, accumulando un grave ritardo nella costruzione delle mie idee.

La scuola vissuta in un tale contesto metodologico è inutile, si sa; ma forse a Latina la procedura può funzionare (o almeno può aver funzionato) meglio che altrove. Questa è infatti una città con un profondo retaggio fascista (nel senso che ha ormai tecnicamente nel linguaggio comune); l’inconscio di ciascuno ne è permeato grazie ai racconti dei vecchi e ai benefici ottenuti allora di cui si gode ancora. Ci sono persone nate nel 1987 che ritengono di credere in principi di un regime di un secolo fa così come i loro sessantenni genitori.
Nessuna meraviglia, però il meccanismo del consenso inerziale è perverso: quali sono le regole? Bene, obbedisco e aderisco. Cioè: qualcuno, forte fino alla prepotenza, mette ordine e disciplina e io, che amo l’ordine e la disciplina lo seguo. Cioè: non sarei mai in grado da solo, ci vuole uno che lo faccia per me e per tutti. In totale assenza di senso dello Stato, della legalità, di costruzione del bene comune. È certamente più facile, come scrivere sul foglio quello che il professore pretendeva al liceo: la trascrizione della “spiegazione” della settimana precedente.
Ma Latina è fascista persino e purtroppo più squallidamente: chiunque può mettere in piedi un codice al quale i più, d’abitudine, per retaggio culturale, obbediscono. Dunque bisogna andare in quel locale, portare quelle scarpe, votare quel candidato, avere quella macchina, fare quelle vacanze, non sapere come pagare la bolletta. E poi non mettere mai la freccia in macchina, picchiarsi in caso di tamponamento, evitare le iniziative culturali se non quelle organizzate dal guru localista sull'autoproclamato di turno che dà contributo zero al patrimonio nazionale. Non si salva nessuno, tecnicamente si è fascisti a sinistra e a destra, è un fatto di testa. Vuota.
É un po' questo il motivo che spinge a impegnarmi nell'iniziativa Lista Pennacchi: superare le barriere dell'ottusità ideologica per costruire, insieme a tutti coloro che vogliono impegnarsi, una città migliore e a misura di chi più di tutti deve sentirsi tutelato dallo stato, cioè i più deboli. Lo Stato, al contrario di quello che pensano Berlusconi e i suoi fans, non esiste per mettere i legacci ai ricchi sfondati paraculo ma per garantire con le leggi la libertà e il benessere di tutti. Per questo è fondamentale un sano controllo dello Stato nell'economia piuttosto che assistere alla generazione di mostri incivili come Urbania (gestore strisce blu a Latina).
Continuo a chiedermi perché, ad esempio, alla Stazione di Latina Scalo abbiano dovuto per forza costruire l'edificietto chiamato info point, coi soldi pubblici, messo “in mezzo alle palle” rovinando l'estetica, il profilo e l'ergonomia topografica della Stazione di Mazzoni. Non è un fatto di tutela dei Beni Culturali, come qualcun potrebbe credere; do per scontato che se ne siano accorti tutti che è un cazzotto in un occhio e che chi l'ha fatto fare se ne sbatteva della tutela (compresa quella parte di Stato pagata per non permettere di deturpare il nostro patrimonio storico). Il problema è che quell'info point non ha mai funzionato ed era ovvio che non funzionasse: non ci sono informazioni da dare ai pendolari che abitano a Latina e non c'è alcun afflusso turistico che giustifichi la spesa. Ergo qualcuno ha guadagnato attraverso uno scambio di favori politico imprenditoriali operato con soldi pubblici. A occhio e croce - la butto lì - con gli stessi soldi si poteva pagare un trimestre di corso gratuito di lingua inglese ai bambini tra i 10 e i 15 anni residenti, pomeridiano, con esame finale e consegna di attestato valido come certificazione. Dimostrando di credere nella necessità di proiettare i nostri giovani in Europa, di garantire un innalzamento del proprio livello culturale a chi magari non può pagare tremila euro l'anno per mandare il figlio a imparare l'inglese privatamente (perché la scuola etc. etc.). Demagogia? Sì, sto dalla parte del popolo. Grazie.

A Latina si sono avvicendate e ahinoi si avvicendano generazioni di politicanti abituati ad agire (diciamo così) sforzandosi di ricordare le poche cose che hanno in testa: gli slogan letti a fatica sui ciclostilati. In questo non c’è distinzione tra destra sinistra e centro. Nel cartello del potere crescevano e crescono quelli che non erano, non sono e non saranno mai in grado di anteporre la persona allo scambio sotterraneo di favori; gente che ha imparato dall’infanzia a calpestare le teste altrui, egoisticamente e ottusamente.

Va bene. D’accordo: “non bisogna fare di tutta l’erba un fascio”, “è necessario operare dei distinguo” e via cantando; perfetto. L’abbiamo detto. Adesso continuiamo allora a prenderci in giro, a dire che si tratta di mele marce in un albero produttivo e in salute... intanto si coltiva la violenza verbale, il perseguimento spasmodico delle proprie fette di potere, gli interessi e i favoritismi, lasciando che il bene comune sia un problema scritto nei programmi elettorali.
In generale e maledettamente senza distinguo si vedono persone che hanno una sola ricchezza: i soldi. Per il resto sono fango, incapace di costruire niente, di approfondire, di riflettere, di argomentare. E sono rari. La maggioranza ha un’altra, unica, ricchezza: i debiti.



lunedì 18 aprile 2011

Da un po' non vado a votare: sfiducia totale. Tutto sembra un gran calderone in cui, nella migliore delle ipotesi, ti devi turare il naso; rivendico allora il mio diritto di non scegliere in mezzo alla melma.
L'uscita di Pennacchi - caro amico prima di tutto - all'inizio mi è sembrata una fantastica provocazione culturale, necessaria a muovere le coscienze. Poi però, tra i vari tira e molla, è successo: l'ha fatto sul serio.
Ora c'è un gruppo nato dal nulla di persone di varia estrazione storico politica con le quali condivido valori. Valori universali, non economici. E non ideologici. Rimugino e mi dico: forse potrebbe bastarmi. Magari li voto. Poi mi dicono: “se vuoi puoi dire la tua, perché non ti candidi? Facciamo un laboratorio di idee condivise, per crescere insieme oltre le ideologie e per parlare di cose concrete”.
In realtà non me l'aveva mai chiesto nessuno, anche perché io non posso dare nulla in termini di scambi, né voti, né soldi, né visibilità. Cioè sono il classico personaggio che un politico può chiamare al massimo per fare numero (come si fa di solito). Però poi esce la storia dei blog, di tirare fuori idee nuove, di fare emergere il meglio che possiamo delle nostre sensibilità.
Dunque mi candido per mettere il mio nome e la mia faccia in un progetto forse utopistico che però è l'unico che mi dà un po' di speranza.
Chiariamo subito: io sono di SINISTRA, tendenzialmente comunista e contro le gerarchie. Sono per la costruzione del bene collettivo prima di quello individuale, rispettando chi, come alcuni (pochissimi) illuminati di destra, dà priorità all'individuo in un contesto di giustizia sociale. Sono convinto che lo sviluppo del paese passa per il miglioramento della condizione sociale collettiva, per l'innalzamento del livello culturale medio, per la massima mobilità sociale attraverso il lavoro.
Quello che ho visto a Latina da quando ho diritto di voto (da ventidue anni ormai) è invece un uniforme, appiattito, asfittico, sterile tentativo continuo di politicanti di auto affermarsi e accrescere il proprio potere con la prevaricazione dei diritti di ciascuno. A destra coltivando l'affermazione propria con l'affarismo rampante e a sinistra coltivando il proprio potere, tessendo reti totalmente lontani dalla gente (vedere le condizioni di tutti gli spazi pubblici comuni tanto per fare un esempio). Una medaglia con identiche facce.
A Latina c'è una crisi occupazionale spaventosa e precari a carrettate in ogni settore. Da quindici anni ormai le fabbriche chiudono a rotta di collo però non ho mai visto quello che una persona di buon senso si aspetterebbe: rappresentanti e tesserati di sinistra accampati davanti ai cancelli, incatenati, sollevazioni in grande stile (tranne sporadici casi ininfluenti o i movimenti di persone che, guardacaso, ora si candidano nella mia stessa lista). Invece no. Scrivanie, riunioni, comunicati, segreterie e poi cena al ristorantino, in taxi, magari con l'imprenditore che ti fa vedere la sua nuova fuoriserie. Demagogia? Sì. Un po' di sana rappresentanza del POPOLO senza voce che vota chi non lo rappresenta.
È il lavoro lo strumento dell'affermazione di ciascuno nella costruzione del bene comune; il lavoro è negato, però, generatore di ansie e di precarietà in questa provincia come in larghe parti di questa Italia.
Parliamo chiaro: quali sono i criteri generali di chi fa politica a Latina? La meritocrazia, il valore effettivo (misurato e misurabile) o la condivisione di una tessera (non valori o – almeno- ideologie) che favorisce una corsia preferenziale?
Sono costretto a fare questo viaggio, non mi darei pace se non lo facessi: io, di sinistra, con altri di sinistra insieme a gente di destra.
Per parlare molto fuori dai denti e per fare un esempio: devo essere contento della carne di porco che la destra ha fatto e fa di quel poco di patrimonio storico latinense, per favorire palazzinari d'ogni genere o di vedere alcune istituzioni pubbliche latinensi veicolo di scambio voto-posto di lavoro che fa la sinistra gestendo quel po' di potere che ha?
Hai voglia a parlare di valori, di buon senso, di ideologie, di bene comune: la verità è che troppo spesso chi si avvicina alla politica (o meglio a una tessera) lo fa per sé. Ronza intorno (senza dignità) a un politico fino a che non viene il suo turno di avvicinarsi alla greppia. È demagogia? Sì. Sto dalla parte del popolo debole, grazie.
Io lavoro nel campo dei beni culturali, sono archeologo: spesso, quando ci sono da fare interventi di divulgazione, mi si chiede di evitare le cose troppo complesse. “Deve capire anche il carrozziere!” mi dicono. Il problema è che si vuole far capire al carrozziere facendolo rimanere carrozziere, cioè senza dargli alcuna occasione di riscatto culturale e sociale. “Io sono quello che capisce, tu non puoi e non devi”. Si nega anche l'ovvio valore educativo al bene culturale, che è invece profondamente intrinseco alla sua natura (sennò non servirebbe nemmeno andare a scuola, studiare la storia, andare in gita coi compagni, andare al teatro, al cinema etc.)
Detto questo, che è la premessa dovuta a chi magari vorrà capirci qualcosa, devo dire solo: non faccio campagna elettorale, dunque non sarò eletto ma credo nella politica del merito, del buon senso di chi NON fa promesse. Non si fanno promesse, basterebbe dire: io mi candido a dare il mio contributo a costruire il bene comune, voglio andare lì e fare BENE il mio lavoro. Senza i “poi vediamo, tuo figlio...tuo zio potrebbe.. quel concorso... quel permesso di occupazione. È demagogia? Sì. Sto dalla parte del popolo. Con onestà e facendo bene il mio come tutti dovremmo.


Francesco Moriconi

P.S. Questa candidatura è dedicata a Fernando Graziano, mio caro amico scomparso prematuramente. Una delle persone più vere e sensibili verso il prossimo che abbia mai incontrato. Uno che faceva assai bene il suo lavoro ed era anche un grande pittore, pittore dell'anima. Ti abbraccio Nando.

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