martedì 27 settembre 2011

LA FINE



 La forza dominante che ha reso servizi inestimabili al paese, sconfiggendo la Bestia Trionfante del bolscevismo, gli antinterventisti e i fautori della lotta di classe, l’immobilismo di uno stato liberale incapace di mettere a frutto i risultati della Vittoria ha concluso, grazie all'efficienza e alla rapidità proprie solo del popolo pontino gloria fascista, la demolizione dell'immondo pontile eredità dell'esperienza straniera ed estranea all'orgoglio della nazione. 
Grazie all'indefesso lavoro dei martiri del dovere, eroi del patriottismo, apostoli della civiltà e pionieri della croce, le soverchianti forze della natura sono state sconfitte e la luce imperitura della fu Littoria brilla nuovamente sulle cristalline acque del mare di Enea.
Viva Di Giorgi. Viva la Sogin. Dio è con noi, per la patria, per la famiglia, per la Vittoria.

martedì 20 settembre 2011

L’ETICA DEI PRIMATI


Il sedicente capo dell’opposizione della mia città, all’indomani dell’incontro con alcuni lavoratori, tra le migliaia, che rischiano o già hanno perso il posto di lavoro in questo territorio, ha scritto un comunicato: duemilanovecentottantuno battute. Millecentottantuno dedicate - si fa per dire – a un’illuminata, strategica, onirica proposta: il Sindaco attivi un tavolo (peraltro in precario italiano). E poi milleottocento battute di critica all’amministrazione perché non fa quello che dovrebbe fare secondo lui, seguendo il più trito copione delle argomentazioni ripetuto svogliatamente. Una cosa stitica e asfittica che non cerca il bene dei lavoratori in ansia e nemmeno suscita l’indignazione dei pochi contrari al regime cittadino. La politica fatta come in catena di montaggio, coi pezzi prestabiliti assemblati alla stessa maniera facendo sempre la stessa identica operazione.
Veramente io non ne posso più.
La massima attività comunicativa dei politici è sparare banalità e ammiccare, come se fossimo tutti scimmie.
Diciamolo chiaramente allora: siamo scimmie. Nelle ultime elezioni nazionali abbiamo votato con una legge elettorale che non considera gli elettori esseri pensanti ma solo primati in grado di eseguire operazioni semplici: Tu fai la croce, poi a chi deve andare a sedersi ci penso io (che sono una scimmia a cui è capitato in sorte di essere più figlio di mignotta di te). E a noi è andata benissimo così. Persino dopo che Calderoli (no, dico, Calderoli) l'aveva definita una porcata (votata da lui stesso, intendiamoci), ci siamo divertiti a chiamarla “porcellum” tenendocela.
Ma, per dirla tutta, non va meglio nelle elezioni che prevedano indicazione della preferenza: andatevi a vedere il bel rimpasto fatto dal Comune di Latina distribuendo assessorati a gente che non era stata eletta e ficcando nella giunta addirittura persone che nemmeno si erano presentate alle elezioni. Uno schifo. Senza vergogna.
La colpa però, insisto e ormai ne sono certo, è di chi vota.
Faccio un appello: chi non sa come votare, faccia un favore a tutti e resti a casa.
Scegliere chi deve governare è una cosa molto seria e far passare quest’azione come un dovere morale è un'operazione suicida e irrazionale. Votare nella totale inconsapevolezza è come fare l’autista dello scuolabus sotto l’effetto dell’eroina.
Io non vorrei mai essere giudicato in un processo (spero di non averne mai) da un astronauta o da un fioraio ma solo da un giudice competente. Perché la decisione sulla classe dirigente che deve occuparsi di amministrare e sviluppare il paese deve essere affidata a totali, volontariamente, incompetenti?
In quest’epoca di televoto ci hanno convinto che per esprimere la nostra opinione (su stronzate varie) dobbiamo pure pagare. E noi lo facciamo, contenti e beati. Ma mentre se paghiamo per far restare una sconosciuta - pure vagamente troia - dentro un reality (oppure per decidere se il bellimbusto di casa Savoia è più bravo a ballare o a cantare o a chiedere il risarcimento a favore di quelle simpatiche canaglie che lo hanno preceduto) diamo un contributo alla tragedia culturale del paese, quando gratuitamente andiamo ad esercitare il nostro diritto di voto decidiamo anche che ne sarà delle nostre tasse, del nostro tenore di vita, del rispetto della legge, della convivenza civile. E la maggioranza non è eticamente in grado di farlo. Mi dispiace ma è così, bisogna farsene una ragione. Non è una questione di togliere un diritto. La questione è permettere di esercitarlo a chi è in grado di farlo. O meglio, forse, che ciascuno decida responsabilmente di votare solo quando ha gli elementi per farlo. E gli elementi devono essere oggettivi. Non quello che si ritiene sia meglio per sentito dire o perché il candidato sembra in buona fede ma solo quello che in maniera razionale e comprovata risulta tendere alla costruzione del bene comune. Non di una parte dunque. Di tutti.
Pur avendo ogni cittadino, giustamente, il diritto di votare, votare non è un dovere. Votare è, appunto, un diritto. Il dovere morale è votare bene. Cioè in favore del bene comune, non tuo personale. Va da sé escludere l’opzione più praticata, cioè votare a cazzo in base a opinioni personali sul candidato. Se non hai competenza, solide basi di giudizio, senso del bene comune e razionalità, lascia perdere. Fai il tuo dovere civile e morale in maniera più concreta e utile se ti astieni. Tant’è. Non c’è buona fede che tenga. Se tu credi che l’Idraulico Liquido si possa bere come digestivo sei un idiota. Se lo fai bere ai tuoi ospiti sei un idiota criminale. Il fatto che in buona fede hai ammazzato quelli che avevi invitato a cena non ti eviterà la galera (a meno di perizie psichiatriche etc.).
Voglio essere molto chiaro: anche i più incalliti attivisti politici possono avere tutta la buona fede possibile, combattere per ciò in cui credono ed essere sicuri che le loro scelte e il loro voto diano un’irrinunciabile contributo alla costruzione del bene comune. Ma essi possono essere comunque mal informati, possono mancare di elementi importanti per giudicare i risultati finali e, in buona sostanza, credere di partecipare al bene comune ma in realtà andare dalla parte opposta. Questo succede per esempio nei casi in cui un volto noto, cantante, attore, sportivo, sposa una campagna e spinge in una direzione esercitando una grande influenza. In molti casi sa solo quello che gli hanno riferito, non ha verificato e tutti gli dicono bravo ma i risultati sono assolutamente scarsi.
C’è bisogno di consapevolezza, razionalità, studio, capacità di analisi. Come in tutte le attività di grande responsabilità. Altrimenti c’è l’astensione. Un’onesta partecipazione alla vita della comunità senza dare il proprio contributo a fare danni irreparabili.
Avere un diritto è una cosa. Esercitare bene quel diritto è tutt’altra. E questo non dipende dal grado di istruzione o dalla possibilità economica che hanno le persone: ricordo che don Roberto Sardelli ha fatto di bambini poveracci e baraccati i principali interlocutori dell’amministrazione romana durante le battaglie per la casa.
Io sono per l’uguaglianza. E per la democrazia. Ma mentre l’uguaglianza per me è la base fondamentale di tutto, la base del diritto, della convivenza, dell’essere uomo, la democrazia è solo lo strumento, ancorché il migliore forse, per raggiungerla. Un importante strumento di selezione della classe dirigente soprattutto, che deve portare a quella uguaglianza nella costruzione del bene comune. Dunque, la selezione non può essere fatta a coppola di minchia ma con attenzione, senso di responsabilità, preparazione, razionalità, conoscenza dei dati. E giustificate, ponderate scelte di voto.
Parlando con lo stomaco (in cui com’è noto risiedono tutti i sentimenti) la democrazia ci renderebbe migliori e ci aiuterebbe nel raggiungimento della felicità se noi non fossimo scimmie. Invece lo siamo, ancora e purtroppo. Ci rapportiamo tra noi e ci rappresentiamo (e ci facciamo rappresentare) non in base alla ricerca della verità, dell’uguaglianza, della giustizia, del bene migliore possibile per la collettività ma in base alla ricerca del consenso. Ci piace fare branco e avere opinioni omologate. Non usiamo razionalità ma subiamo l’influsso delle emozioni. E questo tradotto in azioni democratiche, nella vita politica, significa essere privati, non arricchiti, di autonomia. Basti vedere le coalizioni appiccicaticce e prive di progettualità e di sguardo al bene comune che si susseguono dal dopoguerra in Italia. E anche nella mia città.
Mentre tutti i votanti hanno un medesimo potere decisionale, non è assolutamente vero che questo potere sia della medesima qualità. Chi vota per migliorare non può essere uguale a chi, per mille motivi, vota per peggiorare. Votare in base al proprio credo religioso o alla propria ideologia ignorando l’evidenza della realtà, ignorando soprattutto cosa sarebbe bene per la collettività è esiziale. E qui purtroppo la verità è che se abbiamo politiche che uccidono le famiglie, che annullano lo sviluppo e la ricerca, che fanno tracollare l’economia, che incentivano l’omofobia e contemporaneamente l’eterofobia è perché votano stupidi, ignoranti e teste a missile. Gli stessi che si candidano, tuttavia. Ma non tutti. Solo quelli che prendono i voti.
Non basta proprio sapere che un candidato è per un sistema di sviluppo (teorico) e un altro per uno opposto. Queste sono notizie di massima, di base. La concretezza della valutazione poi si dovrebbe fondare sui singoli specifici indirizzi che uno - che vuole il mio voto - prende: va in direzione dello stare bene tutti o di favorire solo alcuni? Si circonda di persone di chiara, cristallina onestà o di macchinatori degli affari propri?
C’è un’etica della politica che passa per l’etica del voto. Rinnovo il mio appello: se devi votare un candidato perché è proprietario della tua squadra del cuore, stai a casa a giocare alla Playstation. Non c’è nulla di male, anzi fai un grande gesto di costruzione del bene comune. Se devi votare per uno che dice di ispirarsi all’America dei Kennedy e poi approfitta del “porcellum” per mettere in lista gli amichetti suoi e i figlioletti degli amichetti, stai a casa. Non è che siccome dice di essere dalla tua parte poi lo sarà davvero. Guarda bene, guarda oltre.

venerdì 2 settembre 2011

Demolition blues

Quando m’hanno detto che erano arrivate le gru al pontile della nucleare, lo giuro, ho pensato a una migrazione di volatili. Non mi è passato nemmeno per la testa che si potesse trattare delle macchine per demolirlo. Mi sono pure detto: “Guarda che fico, magari la natura ci aiuta a farlo diventare un’attrazione turistica”. Poi sono andato al mare e ho visto coi miei occhi gli enormi bracci che si innalzavano, spiccando dalla testa del serpentone di cemento. Dietro c’era Torre Astura, come sempre, e dalla parte opposta, quasi speculare, il Circeo. Ma il pontile stava per sparire.
Io non so nemmeno com’è fatto il panorama, senza. Per me c’è sempre stato. Di qua il promontorio, di là il pontile della nucleare. È sempre stato così.
Insomma, com’è come non è, volevo piantare una grana. Quello in teoria potrebbe diventare un bene di archeologia industriale, un monumento del progresso (comunque la si pensi sul nucleare), basterebbe farci una passerella centrale e metterci un chiosco sull'estremità in mezzo al mare. A ottocento metri dalla costa. Se installi pure un cannocchiale a gettone puoi togliere le strisce blu su tutto il lungomare. E puoi trasformare un capolavoro della tecnica in un luogo di socializzazione. I costi sono gli stessi, più o meno, tra demolirlo o mantenerlo; con la differenza che mantenendolo potresti guadagnarci sopra. Pensa a mettere anche dei posti per i pescatori, due euro quattro ore… Ma non si può montare un casino ogni volta, mi dicono.

Il pontile è costituito da quattro file parallele di pilastri in cemento armato, quelle che ora stanno demolendo, tra le quali sono posati due enormi tubi di presa dell’acqua di raffreddamento dell’impianto della centrale nucleare. Due metri e settanta di diametro per una portata di centottanta metri al secondo ciascuno. Una cosa mostruosa. Quando bisognava pulirli venivano chiusi, svuotati dall’acqua e dentro ci si calava un trattore che arrivava in fondo, apriva una specie di ombrello che aveva il diametro del tubo e veniva indietro, tirandosi appresso tutto il deposito. Un deposito meraviglioso: polpi, crostacei, spigole, cefali, mafroni, saraghi, marmore. E via con la brace. A volte i pescatori, quando i tubi erano in manutenzione, andavano di nascosto a far saltare le griglie di testata dei tubi, per fare rifornimento: niente di più pericoloso. Immaginate che vuol dire rimettere in funzione tubi che aspirano acqua al ritmo di centottanta metri cubi al secondo. Se li risucchiava con tutta la barca. Ora è ovvio che se stanno demolendo i pilastri, i tubi dovranno toglierli, non è che possono lasciarli fluttuare sul fondo del mare. Almeno credo. Invece magari si potevano sfruttare come spazi; non so, potrebbe essere una cazzata ma mi sono immaginato un percorso con gli oblò: vai dentro e vedi tutto il mare dal fondo, per ottocento metri. Certo meglio che tentare di sfruttarli per incanalare gli scarichi depurati delle fogne, come ho sentito dire: avete idea della pressione che bisogna superare per fare uscire i liquidi a quella profondità? E poi i tubi finiscono nella presa d’acqua dell’impianto di raffreddamento della centrale. Boh…
Ma non voglio fare polemiche. La demolizione è inutile e dannosa, come la speranza di fare il faraonico porto col lungomare di merda che abbiamo e con le mulattiere che si ingorgano al primo che frena un po’ più prudentemente della media.

Ad ogni modo a me la sparizione del pontile m’ha messo il magone. Sarò un sentimentale, che vi debbo dire? Però non sono solo: gran parte di quelli di Borgo Sabotino (il borgo dov’è la centrale nucleare) sono con me. Hanno pure raccolto le firme ma il Comune ha agito alla traditora. Conferenza dei servizi a luglio inoltrato, cittadini senza voce e zac! Gru al pontile. Più per questo, devo dire, che per le operazioni in sé, mi viene da fare un macello. Ma anche perché è come se stessero distruggendo un pezzo di casa mia.
Migliaia di volte da ragazzino ho preso la bici e sono andato dal tribunale a Capo Portiere, ho bevuto alla fontanella e mi sono asciugato il sudore guardando il pontile, girato verso Foce verde. Da solo. Era bellissimo. Oppure ho vagato verso Sabotino, passando davanti al Procoio e poi arrivando a Foce verde. C’era un fiume che sfociava lì. Non ho mai saputo che era il canale Mussolini (detto verginalmente “delle Acque Alte”) fino a che non me l’ha detto Massimo Marzinotto. Per me l’unico canale della bonifica era quello delle Acque Medie. Ma neanche di quello sapevo nulla, se non che passava dietro casa mia e ci andavo a fare i pic nic coi compagni delle elementari. Sapevo che c’era quell’altro, intendiamoci, ma solo perché ci passavo sopra in macchina, sull’Appia.
Ora, tutti dicono che quando durante il fascismo iniziarono le demolizioni, Mario Mafai vide in giro le palazzine mezze sventrate e ne trasse delle “meditazioni coloristiche”. In effetti quel ciclo delle “demolizioni” – di Mafai ma anche di Afro – sono di una bellezza e di un fascino uniche. Sono attraenti, piene di colori, la carta da parati delle stanze scuoiate diventa una serie di macchie colorate, in un’atmosfera intensa, con la luce bella e serena. Però non c’è un’anima. Cioè non si vede un essere umano nei paraggi. Sembra quasi che Mafai ritenesse la realtà già terribile così, senza necessità di descriverla con atmosfere plumbee. Tanto è bella la luce di questa giornata, tanto sono affascinanti i colori che escono da quelle palazzine, ormai ruderi, tanto è terribile la realtà, senza umanità. E tutti dopo l’hanno presa come produzione antifascista, come aspra critica dell’atteggiamento autoritario del regime. In realtà quei casini a Roma li vedevano ininterrottamente dal 1870, non so se quella della protesta fosse la molla, la spinta principale dell’ispirazione. Certo è però che quei quadri sono bellissimi. E io vorrei tanto saper dipingere le gru al pontile, mentre mi scavo lo stomaco una volta di più.
C’è stata una volta che, passeggiando a Capo Portiere dopo la solita spedalata, ho visto una ragazza coi capelli rossi, magra, con le lentiggini. Armeggiava con una macchina fotografica, una Pentax professionale, con uno zoom montato impressionante, dentro a una Renault 4 rossa. Poi è scesa e dal bagagliaio ha preso un cavalletto. S’è piazzata sulla testata del molo, guardando verso il Circeo. Poi s’è girata verso di me e mi ha detto: “dov’è il pontile della centrale nucleare?” “è quello”, ho detto io, tracciando con la mano un semicerchio orizzontale. Lei mi ha sorriso, come per dire “grazie, che imbranata”. Punto. Be’ io quel sorriso me lo ricordo ancora come uno dei più bei regali che abbia mai ricevuto.
Adesso me lo levano, il pontile. E in vita mia non gli ho mai fatto una foto. “Tanto è là”, dicevo. E ora? Sarà che è vero - anche se mi duole ammetterlo - che la maggioranza degli esseri umani capisce di tenere alle cose quando per via degli innumerevoli casi della vita, non le ha più. Deve essere stato così pure per il palazzo della Warner Bros. a Dallas, al 508 di Park Avenue. È appena a due isolati dai quartieri bene, ma un po’ fuori mano. Se ci vai adesso vedi solo barboni, ubriachi poveracci che bivaccano. L’edificio è abbandonato e hanno deciso di demolirlo. Appena emessa l’ordinanza ecco che è scoppiato un putiferio: i giornali, gli amanti della cultura, la gente comune. Tutti uniti. “Eh no! Già a Dallas non c’è un cazzo, ci levate pure questo?”. Ed hanno ragione perché quel palazzo, oltre ad essere un pezzo storico importante, architettonicamente (è in gran parte rivestito di marmo, fuori ma soprattutto dentro, la qual cosa gli conferisce un’acustica tutta particolare), è il palazzo nel quale Robert Johnson, nel 1937, ha registrato tredici fondamentali pezzi, che hanno fatto la storia del blues e della musica americana in genere, tra cui Love in vain e Me & the devil blues. Nella stessa stanza delle mitiche registrazioni Eric Clapton ha poi inciso Sessions for Robert Johnson. Molti ragazzi che hanno imparato a suonare la chitarra sono andati là sotto, sognando che un giorno sarebbero entrati in quel palazzo e avrebbero fatto la storia. Molti invece sono andati sperando di incontrare questo o quel famoso. Anche lì tutti ci vogliono un museo, un luogo storico. E si potrebbe fare. L’hanno capito pure a Dallas che un bene culturale è tale anche se recente ma contiene pezzi della nostra anima, della nostra formazione, i nostri ricordi.
Per demolirlo, il pontile l’hanno ucciso. Era vivo e l’hanno ammazzato. Potevamo goderne tutti. Ora gode solo la Sogin.
Amen.

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