martedì 31 maggio 2011

Tre parole


Questo post non dovevo pubblicarlo. Ce n'è uno più importante sul nucleare.
Però ieri pomeriggio, tornando dalla stazione ho visto un manifesto 6x6 con Tiero che ringrazia per la valanga di voti. Oltre alla foto - che lo pone nella categoria dei latinensi che comprano i maglioni per usarli come coprispalle - ha messo uno slogan: Noi come te. Te come noi.
Ora, è ovvio che Tiero non è Valeria Rossi (ricordate? Quella di “Tre parole”) e dunque certe licenze non può permettersele. Tra la terra e il cielo/in mezzo ci sei te cantava in quella meravigliosa canzone, una pietra miliare della musica italiana (Valeria dove sei? Ti adoro!).
Te” è complemento e non si può usare come soggetto, a questo scopo si usa “tu”. Dunque, per ringraziare, Tiero avrebbe dovuto scrivere Noi come te. Tu come noi.
È chiaro che chiunque potrebbe dirmi che sto spaccando il capello in quattro, specie di fronte all'ampio consenso politico ottenuto dal consigliere. Non c'è dubbio. Io Tiero nemmeno lo conosco e per quello che ne so potrebbe essere in odore di santità. Però, ecco, Noi come te (noi?), tu come noi, al di là del problema linguistico (che non è secondario ma comprimario, indicativo di un mondo), sembra quasi che voglia dire “bene, bene. Adesso non vi preoccupate, voi che mi avete votato, noi siamo uguali e io sto in mezzo a voi. Quelli che non sono uguali cerchino un altro santo”. É l'uso del noi - se non si è capito - che risulta efficace per i suoi elettori ma anche esclusivo, selettivo nei confronti di quelli che non lo hanno votato. Bene comune? manifesto elettorale, mo' basta; si fa la politica seria.
Mentre vedevo il manifesto avevo la radio accesa; ascoltavo la Moratti che sosteneva di aver telefonato a Pisapia. Ho pensato.
È possibile porcaccio giuda che qui a Latina non si riesca a votare uno di sinistra? Uno contro il quale il centrodestra si debba scagliare a morte. Uno contro il quale debbano usare una storia di furgoni rubati, una paura a caso, un sospetto di terrorismo. No?
Già me li immagino gli slogan sui 6x6.
vuoi che ha latina siamo costretti tutti a guardare la mecca?
vuoi vedere froci sposati che copulano alla strada?
vuoi che un negro chiedi la mano di tua filia?
Tutta una bella campagna denigratoria, piena di insulti ed errori di ortografia e di lingua. Senza argomenti. Certo, qui a Latina non potranno usare zingaropoli perché l'hanno già permessa DC e centrodestra, però avanzano ancora un bel po' di luoghi comuni da sfruttare.
Come sarebbe bello che a sinistra, a Latina, ci fosse uno di sinistra, non un democristiano. Non un democristiano. Non i democristiani.
Non c'è fretta, abbiamo cinque anni.
Maledetta primavera. Che fretta c'era lo sappiamo io e TE.

lunedì 23 maggio 2011

Nassoestetica ovvero fenomenologia del quadrato

Appuntamento alle 10:00 sotto il cantiere. Sarà stato una decina d’anni fa. Gigi già aspettava fremendo: dovevamo dare un’occhiata insieme ad un appartamento su cui voleva investire tutti i risparmi più il mutuo.
Era bello, dentro. Ottime rifiniture, lavori ben eseguiti. Mi lasciava perplesso, a dire il vero, una piccola curiosità che manifestai solo all’uscita: “scusa, come mai nel balcone più grande, quello enorme, c’erano gli attacchi per i termosifoni?”
È così che ho imparato la faccenda dello “spazio tecnico”, una zona dell’appartamento - venduta come balcone - che già è predisposta per essere chiusa da un muro e diventare una stanza. Tu risparmi sull’acquisto e dopo, con un piccolo abuso edilizio, ti ritrovi una bella camera in più. Lo fanno molti costruttori.
Un’altra cosa che imparai in quel periodo è che le case migliori a Latina sono di Nasso. Anche chi non approva la sua, diciamo così, partecipazione politica si sente in dovere di ammettere che i palazzi sono fatti molto bene. Persino Pennacchi, inventore della definizione “pontino-babilonese” relativa all’estetica generale di queste costruzioni, ha recentemente detto che sono brutte ma, gli dicono, fatte bene. Ora è indubbio che piacciano ai più, visto che timpani, palme e propilei continuano a caratterizzare lo stile delle palazzine Nasso.
Sia come sia è inevitabile accertare alcune conseguenze – o ricadute – che la Nassoestetica ha sulla testa dei Latinensi: come cioè il fatto di essere realizzati bene e anche di avere un costo leggermente sopra la media abbia reso i palazzi di Nasso una specie di totem estetico cui ci si vuole adeguare anche quando non vi si abita.
È una cosa inconscia, probabilmente, però palpabile anche in via sperimentale.
Come si riconosce un palazzo di Nasso? Ormai molte delle caratteristiche che lo distinguevano dagli altri sono state copiate, migliorate, ridisegnate e le nuove palazzine si somigliano tutte un po’. Poi c’è chi ha preso qualche stilema degli anni trenta e lo ha messo nei suoi progetti, così, tanto per adeguarsi ad un’architettura ormai già completamente massacrata; oppure chi ha pensato di fare lo chic pensando terrazzi con piscine che sembrano vasche da bagno. Ad ogni modo alla domanda si risponde: è un palazzo di Nasso? Sì, c’è il quadrato. Quello che contraddistingue e marchia le sue fabbriche è un quadrato (di varia fatta all’interno) con i vertici puntati sugli assi cartesiani. 
Che sia un richiamo al quadrato di fondazione o un semplice abbellimento geometrico non so, però se vai a trovare una persona che ha quel simbolo sull’esterno dello stabile, sai che ti accoglierà in una signora casa, dove potrai trovare balconi che sembrano giardini e attici che ricordano oasi del Sahara. A Latina è diventato un “must”, come le Hogan ai piedi, la Mini Cooper o l’aperitivo in mezzo alla strada.
Quel quadrato è un simbolo che ormai va oltre ogni semplice significato di marketing edilizio, è il segnale antropico, il luogo significante le proprie scelte e il proprio status sociale. Non reale, intendiamoci, semplicemente preteso.
Scriveva Meyer Schapiro (chi?! Vabbe’ andate su google): Se ci si sforza di esperire le qualità in maniera più forte e ricca, si scoprirà che un colore, una forma, presi in quanto elemento unitario, o nota singola, sono un aggregato di qualità, e non un’unica qualità, e che la nostra reazione è nei termini di una di queste qualità – non di tutte, ma di una, una soltanto, connessa in qualche modo alla nostra disposizione attuale, alle nostre abitudini.
Ora, poiché le abitudini e le condizioni dei Latinensi non cambiano da decenni, lo abbiamo ampiamente dimostrato nei nostri scritti (e i dati ci danno ragione anche in relazione ai risultati elettorali, tanto per rimanere ancorati all’attualità), l’esempio del quadrato come espressione dell’omologazione alla Nassoestetica calza a pennello. 
Basta rendersi conto di come pullulino di quadrati, sulle facciate e sulle recinzioni, le case di campagna recentemente ristrutturate.
 







 Una delle cose più incredibili che capita di vedere utilizzando questo taglio analitico è alla Stazione di Latina Scalo. Le costruzioni di poco successive all’edificio di Mazzoni erano funzionali al lavoro degli addetti alla ferrovia ma anche alla loro vita privata (abitazione del capostazione e della sua famiglia). Lungo la strada di accesso ci sono due belle palazzine in laterizi: una di esse ha le scale esterne col corrimano in travertino, un bell’incrocio tra architettura fascista e Insulae di Ostia antica. In un piccolo disimpegno coperto si trovano due portoni: il vano è stato recentemente “restaurato” evidentemente da nuovi inquilini. Essi hanno pensato bene di intonacarne le pareti con una crema pasticcera, lasciando però rigorosamente dei quadrati à la Nasso, dai quali si vedono, solo lì, i laterizi sottostanti. Orribile, diranno molti: forse, ma la verità è che, in maniera assai inconscia probabilmente, quelle persone per abbellire l’entrata della loro casa hanno tranquillamente intonacato i mattoni pensati settant’anni fa per essere lasciati a vista (uccidendo qualsiasi continuità formale dell’edificio) sostituendoli dove hanno ritenuto opportuno con un intonaco che suggerirebbe l’idea di pulito e nuovo (detto per inciso, Soprintendenza, dove sei? All’info point?). Non solo: l’avvenuta trasformazione in appartamento di lusso abitato con gusto è stato ratificato, suggellato e firmato col quadrato; il simbolo ormai dell’edilizia come si deve a Latina.
Gli esempi sono migliaia e la tentazione di chiedere ai lettori di suggerirne con foto dal cellulare c’è. Anzi, fatelo! Mandatemi una foto e facciamo una gallery su facebook.
Sarà anche pretestuoso ma io ci vedo una prova inconfutabile della capacità omologativa dei cervelli latinensi. In ogni angolo, qualsiasi sia la classe sociale di appartenenza, qualsivoglia siano le radici da cui si provenga, il quadrato incombe e inconsciamente ci sentiamo costretti a farne sfoggio per rassicurarci e apparire “dentro” il sistema che contribuiamo ad alimentare. 
Persino la famosa casa su viale Giulio Cesare, quella coi cigni e le statue, quella col pavimento in travertino lucidato per il cortile in cui parcheggiano le macchine, ce l’ha sulle pareti. Anche i suoi proprietari, all’interno della loro manifestazione di ricchezza trimalcionesca, non hanno resistito al fascino sinistro di un simbolo di capacità imprenditoriale divenuto logo dell’essere in un certo modo.

domenica 22 maggio 2011

ePart - Il Social Network dei cittadini che partecipano

Da oggi esiste un social network per partecipare attivamente all'amministrazione cittadina. Si possono segnalare problemi e disservizi, anche in tempo reale tramite smartphone. Un servizio interessante e di sicura crescita. Partecipate! (a Latina serve.)

cliccate ePart - Il Social Network dei cittadini che partecipano

venerdì 20 maggio 2011

Milano aiutaci

In un blog di assoluto interesse http://settore.myblog.it/ , tenuto da un grande interista e da una persona di grande buon senso traggo l'immagine che vedete. E' l'appello che i club del Milan hanno fatto ai propri associati perché votassero Berlusca a Milano (sì, il Berlusca che ha dimezzato i voti).
Ecco, come possa entrare lo scudetto col buon governo di una città ce lo può insegnare solo Berlusconi, tittillando sempre i neuroni superficiali di tutti, nel tentativo di far ingoiare un'analogia tra squadra vincente e politica di centrodestra.
Trovo questo uno spiacevole esempio di come il nostro (purtroppo) presidente del Consiglio e tutti i suoi seguaci, accoliti e proseliti, ritengano ormai l'Italia un paese di derelitti  anestetizzati, incapaci di distinguere Moratti e Pisapia se non sulla base di categorie da rieducational channel. Da una parte chi vince gli scudetti, fa il bunga bunga, evade le tasse, ha mille case, intoccabile eppure amichevole, potente e furbo (e molto altro); dall'altra l'estremista, il picchiatore, il drogato, il criminale, il comunista.
Speriamo che Milano ci aiuti a liberarci da questa iattura.

martedì 17 maggio 2011

Seminate la delusione, fiorisca la politica

Bene. Anzi male. Scopro però di essere un fine analista politico. Avevo infatti detto a molti che l'aver fatto rientrare Cirilli nell'alveo del Pdl avrebbe garantito vittoria al primo turno. È andata così. Il centrosinistra non si può permettere nemmeno quella gioia effimera delle scorse elezioni: non capire minimamente cosa è successo politicamente, pensare di essere arrivata al ballottaggio per meriti propri - e non semplicemente per beghe interne al centrodestra - e abbracciare tutti convinta del cambiamento.
C'è però da dire una cosa: nelle scorse elezioni Mansutti prese il 22,68% contro il 49,54% di Zaccheo. In questa tornata Di Giorgi si è attestato al 50,96% – più o meno il solito - mentre Moscardelli ha raccolto ben 13 punti percentuali in più, col 35,51%. Dunque qualcosa è accaduto. L'indubbio personalismo sul quale si muove Moscardelli da quindici anni ha certamente portato frutti in merito a costruzione di consenso (poi sulle modalità di questa costruzione ci sarebbe da dire ma per ora fermiamoci all'obiettivo, che è un altro). Un'ulteriore fatto è accaduto: le liste del centrodestra, sommate alla lista Cirilli, alle scorse elezioni presero oltre il 73%, ora sono al 58,73%. Quelle del centrosinistra erano al 21,05%, oggi al 27,94%. Dunque c'è una crescita di consenso complessiva per il centrosinistra e una caduta verticale di considerazione del centrodestra. Il tutto con un aumento dell'astensione di 3,5 punti percentuali.
Dunque, lo dico sommessamente a quelli del Pd e alle forze di centrosinistra alle quali appartengo idealmente: siete delle seghe.
Siete cresciuti solo del 3,5%, una percentuale ridicola se pensate che nel resto d'Italia Berlusconi e seguaci prendono schiaffi. Non siete stati capaci di essere i trascinatori dell'aumento di consenso alle liste collegate al candidato sindaco, per il quale siete responsabili appena della metà (3,5 % contro un aumento complessivo del 7%). Ecco i numeri: 2007 Ds+Margherita 16,08%; 2011 Pd+Api 19,59%.
Perché? Perché come al solito, da quando ho diritto di voto, vi ricordate del vostro ruolo a due mesi dalle elezioni. Per quattro anni (ma bisognerebbe dire da venti) siete stati una specie di rumore di fondo, non siete stati tra la gente e -soprattutto- con la gente. Non avete creato coinvolgimento, attività, comprensione. Non avete dato voce. Avete permesso senza fiato tutto lo sfacelo di chiusure di fabbriche, di cemento, di disservizi e siete andati avanti a spot.
Mai come in questa campagna elettorale è stato dimostrato che gli spot non servono a una mazza. Le persone devono credere nelle persone, non nelle loro foto. L'aumento di voti personale di Moscardelli è frutto di una sua politica, evidentemente poco condivisa dal vostro, diciamo così, gruppo dirigente dal momento che è partito coi cartelloni 6x6 con la sua faccia e senza simboli di partito. L'idea è berlusconiana e funziona – o meglio ha funzionato – per lui ma non può funzionare con le formazioni politiche che si vorrebbero proporre come alternativa all'antistato del Pdl. Vi rendete conto che non si può pensare di vincere quando la sola persona che dà dei segnali di essere tra la gente e di lottare per loro è De Marchis? Io lo stimo come ragazzo, certo è bravo ed è l'unico che vedo davanti ai supermercati o alla stazione, che parla delle bollette di Latinambiente etc. ma non ci si può identificare in uno solo. È anche una questione di carisma e di potere, come le primarie hanno dimostrato. I metodi della vostra politica sono troppo, troppo simili a quelli che contestate; con l'ulteriore aggravante che a volte siete stati addirittura correi della maggioranza (vedi vicenda caduta giunta precedente). Ma io dico: c'erano condizioni più favorevoli di queste? Un anno di interregno amministrativo, un candidato del Pdl che era oggettivamente scarso, un centrodestra nazionale in affanno clamoroso, un Moscardelli al picco della popolarità (e del potere) personale, un fermento cittadino che ha portato a candidare pure i lampioni e invece niente.
So già cosa state pensando: anche io ho contribuito alla dispersione di voti, ho sposato un progetto nato in poche, frettolose ore, ho fatto mio anche quello che sembrava non appartenermi. Non mi sottraggo e rispondo: io sono in totale disagio col centrodestra ma sono profondamente imbarazzato dal centrosinistra e dalle sue rotte politiche. Ho dato un segnale, chiaro, attraverso gli strumenti che mi hanno messo a disposizione; qualcuno mi ha presentato un sogno, quello di cambiare insieme le cose, oltre gli steccati e le ideologie e io ci ho messo tutto quel poco che potevo. Ho criticato e fatto proposte; io col centrosinistra ci voglio stare, quando sarà tale.
Mentre è evidente che gli elettori di centrodestra votano qualunque candidato sindaco purché del Pdl (un punto percentuale in più di Zaccheo, nonostante tutto!) e in qualunque modo venga amministrata la città, gli elettori di centrosinistra, gli astenuti, i delusi e gli indecisi che poi vanno a destra si aspettano risposte diverse, alternative vere. Tali alternative però vanno fatte penetrare capillarmente tra le persone con incontri e dibattiti pubblici, nelle piazze, davanti alle fabbriche, nei circoli culturali (ci sono a Latina?). Non due mesi prima del voto; cinque anni prima. La politica è o no vocazione? Bisogna far vedere che ci si spende, che si scommette, non che si coltiva un orticello.
Politici e aspiranti tali del centrosinistra: toglietevi la giacca! Lasciate perdere le scrivanie! State con le persone da oggi e costruite una visione diversa di questa città, condivisa e partecipata. Tra cinque anni Latina sarà molto peggiore. Forse sarà più semplice cambiare le cose.

sabato 14 maggio 2011

Non turatevi il naso!

Cosa ci spinge ad andare a votare? Dovrebbe essere la voglia di utilizzare lo strumento democratico, l’unico e il più importante che abbiamo a disposizione per dare la nostra preferenza a chi ci va a rappresentare.
Per motivi che non è il caso di ricordare qui ma che abbiamo già cercato di trattare (cfr. ad es. Consapevolezza e altre virtù estinte) a Latina c’è una buona affluenza alle urne: al di là di fisiologici cali e di reali impedimenti la gente vota. Però male. Cioè in gran parte ha finora votato affaristi, palazzinari e immorali amministratori del bene pubblico. Si è cioè resa funzionale ai traffici di pochi, in cambio di nulla se non elemosine elargite con disprezzo mascherato grazie a benevoli sorrisi (contratti di lavoro che uccidono il mercato vero, ormai succube del continuo utilizzo del posto retribuito come posta di scambio; permessi di occupazione del suolo pubblico ai limiti della legalità; favorini vari etc.)
Il problema che nessun politico ha intenzione di affrontare - perché sostanzialmente fa comodo così - è che non è solo fornendo uno strumento alle persone che esse lo utilizzano in modo corretto. Lo strumento del voto funziona esclusivamente se quotidianamente si costruiscono le idee e si condividono. Va da sé che per farlo è necessario un innalzamento del livello culturale medio e della consapevolezza politica dei cittadini.
Chi vota si rispecchia e spera nelle persone delle quali scrive il nome sulla scheda elettorale: dunque il politico che assecondi la sua vocazione dovrebbe essere un esempio di virtù, se vuole una città virtuosa. Ma anche chi vota – porco demonio – se vuole una città migliore deve votare gente che non abbia già dato ampiamente prova di inettitudine, di farsi gli affari propri, di assecondare spiriti mafiosi. Qui a Latina è la sagra dell’improvvisazione amministrativa e non vengono fuori né le competenze né il merito, poiché non ci sono né le une né l’altro.
Quello che ho scritto in questi giorni, oltre a non essere propriamente in cima ai pensieri dei candidati professionisti dello slogan accattivante, è certo condivisibile da molti. È vero anche che, pur sotto forma di aria fritta, può essere stato evidenziato anche da altri. La realtà, indubbia, è che la lista Pennacchi-FLI è l’unica a fare davvero paura al PDL, anche quello nazionale. Berlusconi non può usare l’amuleto dell’anticomunismo contro un gruppo così composto, un gruppo –lasciatemelo dire- fasciocomunista (con tutti i sensi, le sovrastrutture, le progettualità e le metafore che si porta dietro). È la vera e unica coalizione che è immune dagli attacchi Berlusconiani; anzi, come ci attacca ci fa un favore.
Dunque, lasciate perdere per una volta la scelta di non votare o di votare il meno peggio. Votate un progetto politico culturale nuovo. Soprattutto: Non turatevi il naso! Aprite le narici e respirate a pieni polmoni questo profumo di pulito! Di voglia di lavorare, di migliorarci, di spenderci per il bene comune! È tanto difficile?
La politica è strumento tecnico prima che etico; l’etica deve essere alla base del nostro vivere civile e chi sceglie i peggiori, anche in nome del turarsi il naso, si tiene quello che ha contribuito a costruire.
Io mi appello a chi vuole dare un segnale diverso, a chi non ha trovato rappresentanza e da anni si astiene, a chi vuole scommettere sul buon governo, sulla meritocrazia, sulla rottura con scambi di favori, strapotere e delinquenza. Partecipate numerosi per la Lista Pennacchi e per me.

mercoledì 11 maggio 2011

Il fondo del barile ha un buco

Da alcuni giorni mi arrovello sull’atmosfera cittadina. C’è quest’aria preelettorale appena appena suggerita da tonnellate di manifesti, santini, schede fac-simile, lettere agli elettori. La fabbrica del fumo in tutta la sua potenza.
Però manca qualcosa. Ci sono arrivato ieri, all’improvviso: le strisce. Voi adesso direte che la candidatura con Pennacchi m’ha dato al cervello. Però, fateci caso: a causa del commissariamento, in questa tornata elettorale non c’è un’amministrazione che ha investito sulla vernice per le strisce stradali. Per la prima volta non vedremo tutti quei bei riquadri nuovi nuovi a suggerirci: Dai! Rinnovami la fiducia, io almeno le strisce te le ho rifatte! L’apoteosi del “ti do poco ma ti chiedo poco” quest’anno non vedrà la sua celebrazione. A tanto ha portato la caduta della giunta Zaccheo e la partecipazione appecoronata del centro sinistra con le sue dimissioni corree.
Mi ricordo ancora quando Finestra fu eletto per il suo primo mandato. Sembrava che la vernice gliela regalassero. Prima e dopo le elezioni è stato tutto un riquadrare e, tra l’altro, erano tutte strisce bianche, che Dio lo benedica.
Ora niente, nemmeno gli attraversamenti pedonali. D’altronde ai rettangoli blu non disegnano nemmeno il lato corto per intero. O tempora, o mores questi nei quali a Latina neanche si possono avere più le strisce nuove in campagna elettorale. Abbiamo bucato il fondo del barile.
Con i programmi elettorali gonfi all’inverosimile di fumosissime proposte è evidente che l’unico appiglio di concretezza delle amministrazioni uscenti erano quei bei segni regolari verniciati sull’asfalto, divenuti simbolici tatuaggi di appartenenza tribale. La loro assenza mostra ancora di più lo stato di abbandono in cui versa la cittadinanza, vittima di guerre interne di partito e di giunta con un’opposizione che ha saputo solo sparare sul moribondo dopo che i giochi erano già consumati.
Ora tutti vengono a dirci le loro intenzioni preelettorali e, ovviamente, lo faccio anch’io insieme ai miei amici della lista Pennacchi per Latina però parliamoci chiaro: le strade su cui si batte sono più o meno le stesse da parte di tutti, tranne le nostre. Sia perché i pochi punti che proponiamo sono di una semplicità disarmante, sia perché sono spiegati con motivazioni frutto di ampia e condivisa riflessione storico critica. Qui dunque non si trova il solito refrain coinvolgiamo il mondo dell’associazionismo e del volontariato ad esempio che vuol dire tutto e niente (perché poi bisogna vedere di che colore è, chi è l’amico del consigliere, su quale settore convogliare finanziamenti a pioggia etc.); non si trova nemmeno l’aumento dei vigili urbani e l’introduzione della videosorveglianza cittadina perché - anche qui bisogna parlar chiaro – il nostro è un comune con le pezze dal punto di vista finanziario. Certo però che si può puntare sul coinvolgimento consapevole della cittadinanza come arma contro la criminalità ma anche contro la menefreghista maleducazione imperante in città. Ma per questo, è ovvio, occorre gente che non parta con il mantenimento di un regime di monopolio (come il centrodestra) o con lo smantellamento di esso per costruirne uno identico con a capo una faccia diversa (come il centrosinistra).

Detto questo potete leggere qui la lettera aperta di Antonio Pennacchi

sabato 7 maggio 2011

La politica a Latina è un circo belga

Qualche sera fa stavo leggendo le istruzioni del nuovo aspirapolvere. Quello che avevamo in casa ha deciso di abbandonarci dopo sette anni di servizio indefesso (e decisamente sopra la media; forse ha finto di morire). L'ho portato all'isola ecologica e amen. Mentre mi accanivo sulla funzione della doppia spazzola in dotazione ha squillato il cellulare: era uno dei miei più cari amici.
“Ma il Cirque du Soleil è nato in Belgio?” mi fa, senza neanche darmi il tempo di dire “pronto”. Sono scoppiato a ridere perché ho capito subito di che stava parlando e gli ho voluto un po' più bene.
Ho letto infatti che il centrodestra vuole inaugurare l'Ars Lab all’ex Rossi sud, «una “factory” sul modello di quella che in Belgio ha dato vita al Cirque du Soleil».
Il Cirque du Soleil in verità è nato in Quebec, cioè in Canada e non mi risultano Ars Lab tra i padri fondatori. Ora, non è che io voglia sottilizzare, però un errore grossolano così mi fa pensare che Di Giorgi non sappia proprio di cosa stia parlando; i giornali e le agenzie che hanno riportato la notizia poi mi sembrano un tantino ossequiosi. Anzi no, sono proni. «La prima opera che metterà in campo Ars Lab sarà proprio uno spettacolo di Franco Dragone, l’inventore del Cirque du Soleil ».
In realtà ne è un regista importante ma non l'inventore.
Ad ogni modo, ammesso che sia una cosa concreta, con reali possibilità almeno di attivarsi, questo Ars Lab punta – stando a tutte le dichiarazioni – a formare, direi in sintesi, protagonisti e tecnici dello spettacolo (e, pare, della moda). Penso sinceramente che per la gioventù di Latina, figlia di generazioni innamorate allo spasmo dell’apparenza e catalizzate dalle multiformi Marie de Filippi che girano nel circuito dell’unico responsabile educativo nazionale, il televisore, questo sarà davvero il colpo di grazia. La ratifica della politica latinense (ma anche di tutta Italia) da cinquant’anni: “Ti do poco ma ti chiedo poco”. Se chi ha avuto e avrà la responsabilità dei giovani della propria città assegna un ruolo di punta alla formazione in un campo velleitario e di scarsa capienza occupazionale, fatto di speranze da rotocalco (nonché di soldi facili, ça va sans dire, come commenterebbero nel Quebec) o di lavoro tecnico negli studi televisivi, è evidente la cifra intellettuale e la capacità di analisi sociale della politica.
Puntare sui giovani è tutto un altro paio di maniche; anzi, è proprio un altro abito.
Si tratta di dargli l’opportunità di partecipare consapevolmente a gestire la società, condividendo con loro i valori e liberandoli dai – scusate il termine desueto - fattori di oppressione. Bisogna assolutamente cambiare però le situazioni sociali vigenti, senza attendere la manna dai ministeri: facciamo noi da traino per la nazione, creiamo un'eccellenza nella formazione e nel coinvolgimento delle nuove generazioni.
Qui a Latina si pensa ai giovani per farli divertire nei locali (sostanzialmente unica forma di intrattenimento, di socializzazione e di stimolo culturale che si promuove) e per fargli attaccare i manifesti elettorali con la scusa della partecipazione politica. Basta fare un giro in strada per capire se a queste elezioni, dopo più di un anno di reggenza del commissario, si è arrivati operando un reale coinvolgimento giovanile o se c’è stata la solita distribuzione di viagra dell’entusiasmo pre elettorale a vantaggio dei soliti personaggi da cartellone 6x6.
L’unica istituzione inoltre (si può chiamare così?) che impegna le proprie energie per la formazione sociale è la Chiesa. Si può convenire che ci sia almeno la necessità di garantire alla parte laica della Città l'educazione a valori condivisi di solidarietà e partecipazione senza la necessità della confessione religiosa? È o no questo il compito della politica? Invece anche le amministrazioni delegano alla Chiesa oppure se ne fregano. Non c’è niente di peggio, mi permetto, di appiattirsi su questo percorso, di alimentare cioè la considerazione fideistica che si ha della partecipazione politica, generatrice di amministratori che si pongono come sacerdoti se non come vere e proprie manifestazioni di un dio elargitore (bisognerebbe anche considerare come avviene nelle parrocchie il reclutamento di questi educatori che, tranne rari casi che conosco di persona, sono totalmente impreparati culturalmente alla formazione e scelti sulla base di una spesso solo presunta devozione e sensibilità vocazionale). Il discorso sarebbe lungo e partirei per la tangente. Senza inalberarsi, guardate i risultati.
Comunque il concetto è semplice: osservare la nostra struttura sociale e provare a immaginare una soluzione che valorizzi le caratteristiche intrinseche delle nuove generazioni.
I nostri ministeri, le nostre istituzioni pubbliche, i nostri uffici sono inzeppati di anziani, non anagraficamente ma intellettualmente; gente impigrita o annientata da anni o decenni di impiego statale retribuito a prescindere da rendimento e capacità professionale. Sono luoghi tutti italiani in cui vince il più furbo e la colpa è sempre degli altri; luoghi del “se non ci fossi io!”; luoghi in cui si depreca in pubblico quello di cui si approfitta nell’ombra (un’ombra a dire il vero trasparente e cristallina). Molti di questi pensano che il computer sia un demiurgo, scrivono con un dito solo sulla tastiera e stampano quintali di documenti in triplice copia.
Puntare sui giovani è puntare sulla loro capacità di svecchiare e di rinnovare sfruttando gli strumenti cui sono avvezzi e che la generazione precedente non vuole imparare ad usare. A Latina si costruirebbe un'eccellenza nazionale, paragonabile solo a esperienze estere, se ci si adoperasse per incanalare l’energia creativa dei giovani nello sviluppo, nello snellimento della burocrazia, nella semplificazione della vita dei cittadini. È chiaro che c’è la necessità di una formazione che li educhi a usare la loro estrema dimestichezza coi mezzi di comunicazione informatici - e con internet in particolare - per partecipare al miglioramento della città e non solo per scaricare video e musica o per chattare. Il coinvolgimento dei giovani si opera dando loro importanza e assegnandogli un ruolo attivo, non con la politica del panem et circenses o del ti do poco ma ti chiedo poco. La rotta del centrodestra è: vuoi il mondo che vedi in tv? Bene, siccome piace tanto anche a me facciamo una bella scuola a Latina per diventare il più possibile come quelli che ci piacciono.
Poi ti puoi riempire la bocca di biblioteche e di rete di biblioteche (mamma mia quanto fumo) ma se i giovani vedono che tu punti sul Cirque du soleil per le nuovi generazioni di questa città, i libri non li vanno a cercare né in biblioteca né altrove. Rete di biblioteche, si dice da parte di quelli che riempiono la bocca di cose che non conoscono: provate a chiedergli a cosa servirebbe una rete di biblioteche e se realmente si può fare a Latina. Vi risponderà gente che non sa che esiste l’OPAC. Allora andate a digitare su internet, nel vostro motore di ricerca preferito, la parola OPAC e vedrete che esiste una rete nazionale di biblioteche: voi cercate il titolo o l’autore o il soggetto e non solo vi dirà quante pubblicazioni esistono ma in quali biblioteche potrete trovarlo su tutto il territorio nazionale. E questi vogliono fare la rete delle biblioteche (ma poi quante biblioteche ha Latina?) di Latina. E c'è pure chi li vota!
Adesso però non fate gli snob, cari lettori di sinistra, non cominciate a dire che se ci fosse la biblioteca Stirling con le sue belle vetrate (centrosinistra, solita pappa da vent’anni) ci sarebbe più attrattiva per i giovani, un polo intorno al quale organizzare iniziative culturali etc. etc. Qui non è un problema di luoghi fisici ma di luoghi mentali. Per coinvolgere i giovani e trasformarli in creatori di una rete di servizi migliore per la città basta una stanza, qualche computer e la voglia di scommettere su di loro, che li entusiasmi nel far diventare internet uno strumento di enorme potenza che favorisca la ricerca, lo sviluppo e la semplificazione. Una risorsa, non un surrogato di sale d’intrattenimento, pubblicità e seconde vite.
Di fronte ad una maggioranza di impiegati statali che parlano male della burocrazia, salvo obbligarti a produrre quintali di carta per evitare assunzioni di responsabilità; di fronte a gente cui viene assegnata la email del ministero in qualità di impiegati o funzionari che è convinta di non poterla controllare da casa perché “posta dell’ufficio”; di fronte a maniaci del cellulare alla moda che usano internet come mezzo di abbrutimento anziché di emancipazione, solo una città che si impegni con i giovani e non al posto loro, a formarli, a renderli consapevoli delle potenzialità creative insite nel lavoro quando è davvero fatica, intellettuale o fisica, può davvero sperare in un futuro migliore.
Il concetto di biblioteca è sbagliato, così come proposto sia a destra che a sinistra. La biblioteca è uno strumento, di ricerca, di studio certo ma soprattutto di emancipazione culturale. Non è una sala lettura per i libri che ti porti da casa. A Latina la biblioteca è da generazioni il luogo dove molti studenti universitari vanno a studiare. I libri a disposizione rimangono sugli scaffali, ergo il luogo non svolge la sua funzione. Adesso, a rischio di essere impopolare, vorrei dire che la biblioteca di Latina è all’ottanta per cento un bivacco. Nessuno di quelli che ci va per studiare poi ci torna per qualsiasi altro motivo legato alla destinazione d’uso. I libri potrebbero incollarli o mettere quelle librerie tipo negozio di mobili. L’impressione, magari sbaglio, è che si cerchi nel luogo fisico quell’aura di serietà dello studio, quella sensazione di solennità dell’impegno che non si riesce a trovare in sé stessi.
Occorrerebbe una seria scommessa sulla gioventù, una scommessa che, diciamolo chiaro, costerebbe assai meno dei porti, delle terme, delle metropolitane leggere, degli Ars lab, dei finti infopoint, degli intrallazzi tra politici e imprenditori e anche delle date zero di Vasco Rossi, regalando alla città una risorsa infinita per il futuro.
Il governo nazionale non spende per i corsi di formazione sull’informatica, sulla razionalizzazione dei servizi, le lingue straniere, sulla specializzazione nei lavori difficili (tornitori, fresatori, falegnami)? Bene, lo facciamo noi. Poi ci dovrete venire a pregare! Pensate cosa sarebbe Latina se un’amministrazione investisse nel far diventare i propri giovani, al di là delle istituzioni scolastiche o in convenzione con esse, esperti di internet - come strumento di commercio e comunicazione - e di lingue (inglese, cinese, giapponese). Basterebbe investire su queste cose e dunque sullo sviluppo anziché benedire crociate fallimentari per porti, areoporti, misteriosi musei subacquei, miopi intermodali e chi più ne ha più ne metta.
È ovvio naturalmente che se si vuole alimentare le categorie economiche che attualmente funzionano, basando la città sull’economia reale, è necessario trovare chi in provincia rimetta l’industria e favorisca l’agricoltura. Occorre realizzare prodotti attraenti e unici, cercare investitori e compratori. Occorre cioè: creare lavoro, lavoro creativo. Non bastano le migliaia di posti (locali pubblici, centri commerciali, parchi giochi) dove spendere i soldi. Servono quelli per guadagnarli.
La Polverini, commentando le parole di Di Giorgi sull'Ars Lab ha detto: «Noi investiamo molto sui giovani e sull’industria dello spettacolo». Nella testa di queste persone, giovani e amici di Maria (de Filippi) sono la stessa cosa. Io non so come si può votarli e guardare al futuro con speranza.

domenica 1 maggio 2011

Politica e lavoro: due assenti ingiustificati.

All’isola ecologica su via Bassianese è sempre tutto ordinato. Contenitori differenti per ogni tipologia di rifiuto speciale da smaltire. Chi ha svuotato la cantina, cambiato aspirapolvere o computer va lì e butta le cose vecchie. Nel gabbiotto all’entrata lavora un ragazzo, forse un po’ più giovane di me; è diligente, educato, molto simpatico. Ultimamente ci sono stato due volte, con mia figlia di due anni e mezzo; lei mi accompagna volentieri perché le regalano sempre il portachiavi-gadget di spugna dura. Quell’isola ecologica e quel ragazzo mi fanno stare simpatica Latinambiente. Certo, quando non viene a pulire via Papiniano, dove abito, mi incavolo a morte: un paio di volte io e mia moglie abbiamo scritto al sindaco – quando c’era - ed è scoppiato un mezzo casino.
Ad ogni modo Latinambiente non funziona. È male organizzata e soprattutto - è sulla bocca di tutti - mal gestita, basti pensare ai casini TIA e TARSU e al fatto che da un anno e mezzo non vediamo una bolletta né sappiamo quanto pagheremo. Ne è consapevole anche il centrosinistra, pare. Infatti nei punti principali del programma di Moscardelli, c’è chiuderla.
Quando l’ho letto la prima volta mi è venuto in mente subito quel ragazzo sulla Bassianese: me lo sono immaginato il giorno che la sinistra dovesse vincere le elezioni, preoccupato per il suo futuro, magari disperato. Non credo che voterà Moscardelli. Poi però ho riflettuto meglio e ho pensato che forse gli slogan elettorali estremizzano un po’ le intenzioni e che il candidato sindaco e la sua coalizione intendevano solo dire che la società andava riorganizzata con personale dirigente all’altezza, in grado di porre a regime la delicata macchina del ciclo dei rifiuti. In realtà ho letto un’altra dichiarazione, poco tempo dopo, in cui si specificava che oltre alla chiusura l’intento è quello di affidare lo smaltimento a società completamente diverse che già avrebbero dato prova di efficienza in altri comuni paragonabili a Latina. Dunque quel giovane ha davvero di che preoccuparsi, visto che non viene spiegato che fine faranno i dipendenti.
Ma io dico: è possibile che i candidati riescano a mettersi la propria umanità sotto le scarpe così? Senza dire una parola che rassicuri i lavoratori (sarebbero dalla loro parte, quelli del centrosinistra, fino a prova contraria), che li invogli a migliorare la condizione della “loro” azienda per fare meglio il proprio lavoro? No, li mandano al macero insieme ai politici avversari che hanno fatto lo sfascio gestionale. Ne parlavo con qualcuno ieri che mi ha replicato, facendomi saltare la mosca al naso, che va chiuso tutto e azzerato perché lì lavora solo chi è raccomandato dai vari politici di destra, in cambio del voto. Certo, non sono io a negarlo e conosco perfettamente casi di questo tipo, però i più sono operai che hanno elemosinato un lavoro pregando in ginocchio un potente. Ora si alzano la mattina alle tre e mezza e girano anche con con zero gradi per caricare su un camion le cose che tutti gettano via o per pulire la strada. È un lavoro. Va bene che magari non tutti lo fanno al meglio, che anche io mi sono inalberato più di una volta e che sono convinto che potrebbero fare assai di più, però in tutta franchezza, dipende da chi li organizza e chi li controlla. E dovrebbe stimolarli.
Inoltre, mannaggia la miseria, se Latinambiente è imbottita di raccomandati della politica che fanno un lavoro di merda non va bene - perché di destra - e se invece l’Ater è occupata da altrettanti dietro le scrivanie è tutto in regola perché di sinistra? Abbiamo lanciato strali giusti e d’ogni genere sul centrodestra, sui palazzinari, sugli amici di Fazzone ma qui io vorrei vedere un'opposizione che si ponga come alternativa, non che brami semplicemente prendere il posto di quelli, per fare le stesse cose. Vorrei vedere qualche giacca di meno e qualche camicia con le maniche rimboccate in più, non nelle foto ma attaccata ai cancelli delle fabbriche, abbracciata ai disgraziati di questa città. Invece no, parola d'ordine: si chiude. Come la Goodyear, ognuno per sé e Dio per tutti. Questa è la sinistra a Latina?
Vuoi cancellare una situazione fallimentare, d'accordo. Ma ai lavoratori qualcosa devi dire. Sembra invece che non si faccia distinzione tra azienda e suo contenuto umano, spietatamente. È questo il compito della politica? A un tale incartapecorimento della sensibilità umana, del senso di appartenenza ad una comunità ci deve portare la ricerca di consensi? Un ottuso manicheismo di tessere e bandiere ci porta ad essere così disumani da distinguere i deboli in categorie? Che tempo privo di ideali è questo in cui si mettono in nomination pure i lavoratori da parte di mestieranti della politica? Il centrosinistra è quello che scrive sui manifesti “Latina riparte dai suoi cittadini”, però non tutti, sembra. Non si può parlare più nemmeno di realpolitik: questa è schiavitù. Una terribile servitù che sottomette le idee e la libertà individuale alle necessità di sopravvivenza attraverso il vincolo del voto politico e del consenso coatto.
Sono andato a leggermi il rapporto Excelsior 2009 che è disponibile on line sul sito della Camera di Commercio di Latina. La provincia, a partire proprio dal 2009 soffre di un peggioramento assoluto del saldo occupazionale in tutti i settori. Il dato dell'industria è catastrofico con un declino quantificabile in circa 700 lavoratori in meno. Non dispongo di dati aggiornati ma se pensiamo che i casi Nexans e Bristol sono successivi si fa presto a trarre le conclusioni, senza contare le crisi Findus e Tacconi sud. Ora, non è il caso di dire che le proteste e le azioni politche non si devono fare per i lavoratori ma con i lavoratori? Non perché ti votano - anzi potrebbero proprio non farlo - ma perché la tua vita (vocazione?) di politico, che tu sia istituzionalmente incardinato o no, ti impone di lottare per i diritti della comunità che è costituzionalmente fondata sul lavoro. Mi suscita un amaro sorriso il pullulare di candidati in mezzo alla gente solo per motivi elettorali (ad esempio all'inaugurazione della libreria Feltrinelli) constatando la fatica del popolo di farsi rappresentare nel momento di massimo bisogno, quando non ha alcuna serenità né voglia di crederci più tanto.
Non mi sono fatto mancare qualche altro numero, perché se la classe dirigente è quella che è sembra proprio che i cittadini di Latina ci mettano del loro. L'ultimo dossier realizzato dal Sole24ore (anch'esso on line) sulle 103 province italiane comunica dati allarmanti su alcuni tipi di comportamento che generano la mentalità già analizzata in articoli precedenti. Latina è all'ottantanovesimo posto in classifica per i debiti non pagati: abbiamo € 85,17 di protesti pro capite. Siamo una delle province con la popolazione più indebitata d'Italia. Non basta: se guardiamo i risparmi depositati in banca siamo settantaduesimi, con € 7.991 per abitante (tanto per avere un ordine di grandezza, la prima provincia, Milano, ha un risparmio depositato per abitante di € 27.776, quasi € 20.000 di differenza, un dato mostruoso). Siamo pieni di debiti (su cui fondiamo la nostra apparenza di benessere) e non mettiamo da parte nulla, sia perché i più poveri non arrivano alla fine del mese sia perché chi ha spende tutto quello che ha. C'è anche la conferma del dato, quella che stende qualsiasi distinguo di opinione: nei consumi siamo tra le prime venticinque province d'Italia, con una spesa pro capite di € 444,5 in mobili ed elettrodomestici. Niente risparmio, mucchi di debiti e spese da primato. Che mentalità si nasconde dietro questi dati? Non è difficile arguire.
È ovvio dunque che se da una parte la classe politica deve cominciare a cercare di ragionare con le categorie della solidarietà sociale e della costruzione del bene comune è vero anche che i cittadini comuni devono trovare le motivazioni per fare una salto in avanti, acquisendo gli strumenti che permettano loro di giudicare consapevolmente il proprio ruolo nella società, i propri doveri e i propri diritti. Senza che patiscano la necessità di indebitarsi fino al collo per sentirsi a proprio agio durante le passeggiate in piazza e arranchino nel privato completamente disgregati dalle ansie della rincorsa sociale. In questo il compito educativo del dibattito politico, della partecipazione, delle iniziative culturali è primario.
È solo con un innalzamento del livello culturale medio che si può uscire dal tunnel dell'individualismo e dell'ottusa mostra di sé, sia che si abbiano le disponibilità economiche sia che manchino. Anzi, laddove manchino, sopra ogni cosa la politica - attraverso i suoi attori - deve ampliare le possibilità di crescita della comunità, renderle accessibili ma anche desiderabili. É necessario far sentire alle persone, quotidianamente, uno Stato che le protegge, le garantisce, che lotta per loro. Con i fatti, non con le promesse Berlusconiane sulle quali si sono appiattite destra e sinistra.
Più sei debole, più devi essere un punto di forza per lo Stato. I tuoi rappresentanti, dopo il voto, devono andare a fare gli interessi della comunità. Non i propri e di chi gli ha allacciato le scarpe in un bell'ufficio, nell'ora in cui i camion di Latinambiente rientrano con gli autisti che cascano dal sonno e dalla fatica.

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