Appuntamento alle 10:00 sotto il cantiere. Sarà stato una decina d’anni fa. Gigi già aspettava fremendo: dovevamo dare un’occhiata insieme ad un appartamento su cui voleva investire tutti i risparmi più il mutuo.
Era bello, dentro. Ottime rifiniture, lavori ben eseguiti. Mi lasciava perplesso, a dire il vero, una piccola curiosità che manifestai solo all’uscita: “scusa, come mai nel balcone più grande, quello enorme, c’erano gli attacchi per i termosifoni?”
È così che ho imparato la faccenda dello “spazio tecnico”, una zona dell’appartamento - venduta come balcone - che già è predisposta per essere chiusa da un muro e diventare una stanza. Tu risparmi sull’acquisto e dopo, con un piccolo abuso edilizio, ti ritrovi una bella camera in più. Lo fanno molti costruttori.
Un’altra cosa che imparai in quel periodo è che le case migliori a Latina sono di Nasso. Anche chi non approva la sua, diciamo così, partecipazione politica si sente in dovere di ammettere che i palazzi sono fatti molto bene. Persino Pennacchi, inventore della definizione “pontino-babilonese” relativa all’estetica generale di queste costruzioni, ha recentemente detto che sono brutte ma, gli dicono, fatte bene. Ora è indubbio che piacciano ai più, visto che timpani, palme e propilei continuano a caratterizzare lo stile delle palazzine Nasso.
Sia come sia è inevitabile accertare alcune conseguenze – o ricadute – che la Nassoestetica ha sulla testa dei Latinensi: come cioè il fatto di essere realizzati bene e anche di avere un costo leggermente sopra la media abbia reso i palazzi di Nasso una specie di totem estetico cui ci si vuole adeguare anche quando non vi si abita.
È una cosa inconscia, probabilmente, però palpabile anche in via sperimentale.

Che sia un richiamo al quadrato di fondazione o un semplice abbellimento geometrico non so, però se vai a trovare una persona che ha quel simbolo sull’esterno dello stabile, sai che ti accoglierà in una signora casa, dove potrai trovare balconi che sembrano giardini e attici che ricordano oasi del Sahara. A Latina è diventato un “must”, come le Hogan ai piedi, la Mini Cooper o l’aperitivo in mezzo alla strada.


Ora, poiché le abitudini e le condizioni dei Latinensi non cambiano da decenni, lo abbiamo ampiamente dimostrato nei nostri scritti (e i dati ci danno ragione anche in relazione ai risultati elettorali, tanto per rimanere ancorati all’attualità), l’esempio del quadrato come espressione dell’omologazione alla Nassoestetica calza a pennello.



Sarà anche pretestuoso ma io ci vedo una prova inconfutabile della capacità omologativa dei cervelli latinensi. In ogni angolo, qualsiasi sia la classe sociale di appartenenza, qualsivoglia siano le radici da cui si provenga, il quadrato incombe e inconsciamente ci sentiamo costretti a farne sfoggio per rassicurarci e apparire “dentro” il sistema che contribuiamo ad alimentare.
Persino la famosa casa su viale Giulio Cesare, quella coi cigni e le statue, quella col pavimento in travertino lucidato per il cortile in cui parcheggiano le macchine, ce l’ha sulle pareti. Anche i suoi proprietari, all’interno della loro manifestazione di ricchezza trimalcionesca, non hanno resistito al fascino sinistro di un simbolo di capacità imprenditoriale divenuto logo dell’essere in un certo modo.
Nessun commento:
Posta un commento