lunedì 23 maggio 2011

Nassoestetica ovvero fenomenologia del quadrato

Appuntamento alle 10:00 sotto il cantiere. Sarà stato una decina d’anni fa. Gigi già aspettava fremendo: dovevamo dare un’occhiata insieme ad un appartamento su cui voleva investire tutti i risparmi più il mutuo.
Era bello, dentro. Ottime rifiniture, lavori ben eseguiti. Mi lasciava perplesso, a dire il vero, una piccola curiosità che manifestai solo all’uscita: “scusa, come mai nel balcone più grande, quello enorme, c’erano gli attacchi per i termosifoni?”
È così che ho imparato la faccenda dello “spazio tecnico”, una zona dell’appartamento - venduta come balcone - che già è predisposta per essere chiusa da un muro e diventare una stanza. Tu risparmi sull’acquisto e dopo, con un piccolo abuso edilizio, ti ritrovi una bella camera in più. Lo fanno molti costruttori.
Un’altra cosa che imparai in quel periodo è che le case migliori a Latina sono di Nasso. Anche chi non approva la sua, diciamo così, partecipazione politica si sente in dovere di ammettere che i palazzi sono fatti molto bene. Persino Pennacchi, inventore della definizione “pontino-babilonese” relativa all’estetica generale di queste costruzioni, ha recentemente detto che sono brutte ma, gli dicono, fatte bene. Ora è indubbio che piacciano ai più, visto che timpani, palme e propilei continuano a caratterizzare lo stile delle palazzine Nasso.
Sia come sia è inevitabile accertare alcune conseguenze – o ricadute – che la Nassoestetica ha sulla testa dei Latinensi: come cioè il fatto di essere realizzati bene e anche di avere un costo leggermente sopra la media abbia reso i palazzi di Nasso una specie di totem estetico cui ci si vuole adeguare anche quando non vi si abita.
È una cosa inconscia, probabilmente, però palpabile anche in via sperimentale.
Come si riconosce un palazzo di Nasso? Ormai molte delle caratteristiche che lo distinguevano dagli altri sono state copiate, migliorate, ridisegnate e le nuove palazzine si somigliano tutte un po’. Poi c’è chi ha preso qualche stilema degli anni trenta e lo ha messo nei suoi progetti, così, tanto per adeguarsi ad un’architettura ormai già completamente massacrata; oppure chi ha pensato di fare lo chic pensando terrazzi con piscine che sembrano vasche da bagno. Ad ogni modo alla domanda si risponde: è un palazzo di Nasso? Sì, c’è il quadrato. Quello che contraddistingue e marchia le sue fabbriche è un quadrato (di varia fatta all’interno) con i vertici puntati sugli assi cartesiani. 
Che sia un richiamo al quadrato di fondazione o un semplice abbellimento geometrico non so, però se vai a trovare una persona che ha quel simbolo sull’esterno dello stabile, sai che ti accoglierà in una signora casa, dove potrai trovare balconi che sembrano giardini e attici che ricordano oasi del Sahara. A Latina è diventato un “must”, come le Hogan ai piedi, la Mini Cooper o l’aperitivo in mezzo alla strada.
Quel quadrato è un simbolo che ormai va oltre ogni semplice significato di marketing edilizio, è il segnale antropico, il luogo significante le proprie scelte e il proprio status sociale. Non reale, intendiamoci, semplicemente preteso.
Scriveva Meyer Schapiro (chi?! Vabbe’ andate su google): Se ci si sforza di esperire le qualità in maniera più forte e ricca, si scoprirà che un colore, una forma, presi in quanto elemento unitario, o nota singola, sono un aggregato di qualità, e non un’unica qualità, e che la nostra reazione è nei termini di una di queste qualità – non di tutte, ma di una, una soltanto, connessa in qualche modo alla nostra disposizione attuale, alle nostre abitudini.
Ora, poiché le abitudini e le condizioni dei Latinensi non cambiano da decenni, lo abbiamo ampiamente dimostrato nei nostri scritti (e i dati ci danno ragione anche in relazione ai risultati elettorali, tanto per rimanere ancorati all’attualità), l’esempio del quadrato come espressione dell’omologazione alla Nassoestetica calza a pennello. 
Basta rendersi conto di come pullulino di quadrati, sulle facciate e sulle recinzioni, le case di campagna recentemente ristrutturate.
 







 Una delle cose più incredibili che capita di vedere utilizzando questo taglio analitico è alla Stazione di Latina Scalo. Le costruzioni di poco successive all’edificio di Mazzoni erano funzionali al lavoro degli addetti alla ferrovia ma anche alla loro vita privata (abitazione del capostazione e della sua famiglia). Lungo la strada di accesso ci sono due belle palazzine in laterizi: una di esse ha le scale esterne col corrimano in travertino, un bell’incrocio tra architettura fascista e Insulae di Ostia antica. In un piccolo disimpegno coperto si trovano due portoni: il vano è stato recentemente “restaurato” evidentemente da nuovi inquilini. Essi hanno pensato bene di intonacarne le pareti con una crema pasticcera, lasciando però rigorosamente dei quadrati à la Nasso, dai quali si vedono, solo lì, i laterizi sottostanti. Orribile, diranno molti: forse, ma la verità è che, in maniera assai inconscia probabilmente, quelle persone per abbellire l’entrata della loro casa hanno tranquillamente intonacato i mattoni pensati settant’anni fa per essere lasciati a vista (uccidendo qualsiasi continuità formale dell’edificio) sostituendoli dove hanno ritenuto opportuno con un intonaco che suggerirebbe l’idea di pulito e nuovo (detto per inciso, Soprintendenza, dove sei? All’info point?). Non solo: l’avvenuta trasformazione in appartamento di lusso abitato con gusto è stato ratificato, suggellato e firmato col quadrato; il simbolo ormai dell’edilizia come si deve a Latina.
Gli esempi sono migliaia e la tentazione di chiedere ai lettori di suggerirne con foto dal cellulare c’è. Anzi, fatelo! Mandatemi una foto e facciamo una gallery su facebook.
Sarà anche pretestuoso ma io ci vedo una prova inconfutabile della capacità omologativa dei cervelli latinensi. In ogni angolo, qualsiasi sia la classe sociale di appartenenza, qualsivoglia siano le radici da cui si provenga, il quadrato incombe e inconsciamente ci sentiamo costretti a farne sfoggio per rassicurarci e apparire “dentro” il sistema che contribuiamo ad alimentare. 
Persino la famosa casa su viale Giulio Cesare, quella coi cigni e le statue, quella col pavimento in travertino lucidato per il cortile in cui parcheggiano le macchine, ce l’ha sulle pareti. Anche i suoi proprietari, all’interno della loro manifestazione di ricchezza trimalcionesca, non hanno resistito al fascino sinistro di un simbolo di capacità imprenditoriale divenuto logo dell’essere in un certo modo.

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