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martedì 20 settembre 2011

L’ETICA DEI PRIMATI


Il sedicente capo dell’opposizione della mia città, all’indomani dell’incontro con alcuni lavoratori, tra le migliaia, che rischiano o già hanno perso il posto di lavoro in questo territorio, ha scritto un comunicato: duemilanovecentottantuno battute. Millecentottantuno dedicate - si fa per dire – a un’illuminata, strategica, onirica proposta: il Sindaco attivi un tavolo (peraltro in precario italiano). E poi milleottocento battute di critica all’amministrazione perché non fa quello che dovrebbe fare secondo lui, seguendo il più trito copione delle argomentazioni ripetuto svogliatamente. Una cosa stitica e asfittica che non cerca il bene dei lavoratori in ansia e nemmeno suscita l’indignazione dei pochi contrari al regime cittadino. La politica fatta come in catena di montaggio, coi pezzi prestabiliti assemblati alla stessa maniera facendo sempre la stessa identica operazione.
Veramente io non ne posso più.
La massima attività comunicativa dei politici è sparare banalità e ammiccare, come se fossimo tutti scimmie.
Diciamolo chiaramente allora: siamo scimmie. Nelle ultime elezioni nazionali abbiamo votato con una legge elettorale che non considera gli elettori esseri pensanti ma solo primati in grado di eseguire operazioni semplici: Tu fai la croce, poi a chi deve andare a sedersi ci penso io (che sono una scimmia a cui è capitato in sorte di essere più figlio di mignotta di te). E a noi è andata benissimo così. Persino dopo che Calderoli (no, dico, Calderoli) l'aveva definita una porcata (votata da lui stesso, intendiamoci), ci siamo divertiti a chiamarla “porcellum” tenendocela.
Ma, per dirla tutta, non va meglio nelle elezioni che prevedano indicazione della preferenza: andatevi a vedere il bel rimpasto fatto dal Comune di Latina distribuendo assessorati a gente che non era stata eletta e ficcando nella giunta addirittura persone che nemmeno si erano presentate alle elezioni. Uno schifo. Senza vergogna.
La colpa però, insisto e ormai ne sono certo, è di chi vota.
Faccio un appello: chi non sa come votare, faccia un favore a tutti e resti a casa.
Scegliere chi deve governare è una cosa molto seria e far passare quest’azione come un dovere morale è un'operazione suicida e irrazionale. Votare nella totale inconsapevolezza è come fare l’autista dello scuolabus sotto l’effetto dell’eroina.
Io non vorrei mai essere giudicato in un processo (spero di non averne mai) da un astronauta o da un fioraio ma solo da un giudice competente. Perché la decisione sulla classe dirigente che deve occuparsi di amministrare e sviluppare il paese deve essere affidata a totali, volontariamente, incompetenti?
In quest’epoca di televoto ci hanno convinto che per esprimere la nostra opinione (su stronzate varie) dobbiamo pure pagare. E noi lo facciamo, contenti e beati. Ma mentre se paghiamo per far restare una sconosciuta - pure vagamente troia - dentro un reality (oppure per decidere se il bellimbusto di casa Savoia è più bravo a ballare o a cantare o a chiedere il risarcimento a favore di quelle simpatiche canaglie che lo hanno preceduto) diamo un contributo alla tragedia culturale del paese, quando gratuitamente andiamo ad esercitare il nostro diritto di voto decidiamo anche che ne sarà delle nostre tasse, del nostro tenore di vita, del rispetto della legge, della convivenza civile. E la maggioranza non è eticamente in grado di farlo. Mi dispiace ma è così, bisogna farsene una ragione. Non è una questione di togliere un diritto. La questione è permettere di esercitarlo a chi è in grado di farlo. O meglio, forse, che ciascuno decida responsabilmente di votare solo quando ha gli elementi per farlo. E gli elementi devono essere oggettivi. Non quello che si ritiene sia meglio per sentito dire o perché il candidato sembra in buona fede ma solo quello che in maniera razionale e comprovata risulta tendere alla costruzione del bene comune. Non di una parte dunque. Di tutti.
Pur avendo ogni cittadino, giustamente, il diritto di votare, votare non è un dovere. Votare è, appunto, un diritto. Il dovere morale è votare bene. Cioè in favore del bene comune, non tuo personale. Va da sé escludere l’opzione più praticata, cioè votare a cazzo in base a opinioni personali sul candidato. Se non hai competenza, solide basi di giudizio, senso del bene comune e razionalità, lascia perdere. Fai il tuo dovere civile e morale in maniera più concreta e utile se ti astieni. Tant’è. Non c’è buona fede che tenga. Se tu credi che l’Idraulico Liquido si possa bere come digestivo sei un idiota. Se lo fai bere ai tuoi ospiti sei un idiota criminale. Il fatto che in buona fede hai ammazzato quelli che avevi invitato a cena non ti eviterà la galera (a meno di perizie psichiatriche etc.).
Voglio essere molto chiaro: anche i più incalliti attivisti politici possono avere tutta la buona fede possibile, combattere per ciò in cui credono ed essere sicuri che le loro scelte e il loro voto diano un’irrinunciabile contributo alla costruzione del bene comune. Ma essi possono essere comunque mal informati, possono mancare di elementi importanti per giudicare i risultati finali e, in buona sostanza, credere di partecipare al bene comune ma in realtà andare dalla parte opposta. Questo succede per esempio nei casi in cui un volto noto, cantante, attore, sportivo, sposa una campagna e spinge in una direzione esercitando una grande influenza. In molti casi sa solo quello che gli hanno riferito, non ha verificato e tutti gli dicono bravo ma i risultati sono assolutamente scarsi.
C’è bisogno di consapevolezza, razionalità, studio, capacità di analisi. Come in tutte le attività di grande responsabilità. Altrimenti c’è l’astensione. Un’onesta partecipazione alla vita della comunità senza dare il proprio contributo a fare danni irreparabili.
Avere un diritto è una cosa. Esercitare bene quel diritto è tutt’altra. E questo non dipende dal grado di istruzione o dalla possibilità economica che hanno le persone: ricordo che don Roberto Sardelli ha fatto di bambini poveracci e baraccati i principali interlocutori dell’amministrazione romana durante le battaglie per la casa.
Io sono per l’uguaglianza. E per la democrazia. Ma mentre l’uguaglianza per me è la base fondamentale di tutto, la base del diritto, della convivenza, dell’essere uomo, la democrazia è solo lo strumento, ancorché il migliore forse, per raggiungerla. Un importante strumento di selezione della classe dirigente soprattutto, che deve portare a quella uguaglianza nella costruzione del bene comune. Dunque, la selezione non può essere fatta a coppola di minchia ma con attenzione, senso di responsabilità, preparazione, razionalità, conoscenza dei dati. E giustificate, ponderate scelte di voto.
Parlando con lo stomaco (in cui com’è noto risiedono tutti i sentimenti) la democrazia ci renderebbe migliori e ci aiuterebbe nel raggiungimento della felicità se noi non fossimo scimmie. Invece lo siamo, ancora e purtroppo. Ci rapportiamo tra noi e ci rappresentiamo (e ci facciamo rappresentare) non in base alla ricerca della verità, dell’uguaglianza, della giustizia, del bene migliore possibile per la collettività ma in base alla ricerca del consenso. Ci piace fare branco e avere opinioni omologate. Non usiamo razionalità ma subiamo l’influsso delle emozioni. E questo tradotto in azioni democratiche, nella vita politica, significa essere privati, non arricchiti, di autonomia. Basti vedere le coalizioni appiccicaticce e prive di progettualità e di sguardo al bene comune che si susseguono dal dopoguerra in Italia. E anche nella mia città.
Mentre tutti i votanti hanno un medesimo potere decisionale, non è assolutamente vero che questo potere sia della medesima qualità. Chi vota per migliorare non può essere uguale a chi, per mille motivi, vota per peggiorare. Votare in base al proprio credo religioso o alla propria ideologia ignorando l’evidenza della realtà, ignorando soprattutto cosa sarebbe bene per la collettività è esiziale. E qui purtroppo la verità è che se abbiamo politiche che uccidono le famiglie, che annullano lo sviluppo e la ricerca, che fanno tracollare l’economia, che incentivano l’omofobia e contemporaneamente l’eterofobia è perché votano stupidi, ignoranti e teste a missile. Gli stessi che si candidano, tuttavia. Ma non tutti. Solo quelli che prendono i voti.
Non basta proprio sapere che un candidato è per un sistema di sviluppo (teorico) e un altro per uno opposto. Queste sono notizie di massima, di base. La concretezza della valutazione poi si dovrebbe fondare sui singoli specifici indirizzi che uno - che vuole il mio voto - prende: va in direzione dello stare bene tutti o di favorire solo alcuni? Si circonda di persone di chiara, cristallina onestà o di macchinatori degli affari propri?
C’è un’etica della politica che passa per l’etica del voto. Rinnovo il mio appello: se devi votare un candidato perché è proprietario della tua squadra del cuore, stai a casa a giocare alla Playstation. Non c’è nulla di male, anzi fai un grande gesto di costruzione del bene comune. Se devi votare per uno che dice di ispirarsi all’America dei Kennedy e poi approfitta del “porcellum” per mettere in lista gli amichetti suoi e i figlioletti degli amichetti, stai a casa. Non è che siccome dice di essere dalla tua parte poi lo sarà davvero. Guarda bene, guarda oltre.

venerdì 3 giugno 2011

Enucleare il nucleare (1: Il tecnico

Ho scoperto sei o sette anni fa che il torneo di calcetto Miscio, a Pantanaccio, lo organizzava Gianluigi Miscio, un ragazzo che veniva in classe con me in prima media. Poi non l’ho più visto. Mi stava simpatico, sparacazzate al punto giusto e amichevole, al contrario di molti in quella specie di bolgia infernale che era la Don Lorenzo Milani. Lì avevi in media cinque o sei compagni di scuola che teoricamente avrebbero dovuto da tempo frequentare le superiori e che invece faticavano a licenziarsi e a farti vivere in pace. Comunque, non divaghiamo: Miscio era simpatico, dicevo. Da lui ho imparato qualcosa nel breve periodo della nostra forzata frequentazione. Innanzitutto ho capito che a pochi passi da casa mia esisteva una vita che non era quella di città, si piantavano i cocomeri, si allevavano le bestie, si pescava nei canali: quell’inverno alle serre per i cocomeri avevano messo non un telo ma due, per farli stare più caldi. Al Pantanaccio si pescava con la bilancia. A Latina c’era la centrale nucleare.
Cioè, che ci fosse già lo sapevo, però mi sembrava una cosa fica, da Spazio 1999. Poi, durante una lezione sull’energia e i mezzi per produrla, Miscio alzò la mano e disse che alla madre, quando passava vicino alla centrale a Sabotino, le si scaricava il pacemaker. Fu allora che volli capire a tutti i costi come funzionava e perché accadevano (se accadevano) questi fenomeni “collaterali”. In terza media, con l’insegnante di educazione tecnica trattammo i vari tipi di centrale e mi si chiarirono alcuni fondamenti della produzione di energia nucleare; l’urgenza delle contingenze mi ha però costretto a pensare ad altro per un po’.
La centrale intanto l’hanno chiusa e ricordo bene il periodo del referendum, con Chicco Testa e Francesco Rutelli (dico Chicco Testa e Francesco Rutelli) incatenati ai cancelli a Borgo Sabotino. Ora, senza interpretare il ruolo dello sputasentenze, vorrei dire che io non mi fido molto di un laureato in filosofia che si è incatenato alla centrale nucleare per farla chiudere e poi adesso mi vuole convincere ad aprirne il più possibile in tutta Italia (anche se ha spiegato i motivi del ripensamento etc. etc.). Uno che quando era presidente dell’Enel (dico presidente dell’Enel, carica assunta da antinuclearista) a un operaio che in una trasmissione televisiva gli dava del bugiardo rispose “bugiardo sei tu, lascia stare il presidente dell’Enel”. Uno che, ospite in veste di nuclearista presidente del forum per il nucleare (dico presidente del forum per il nucleare e consigliere di Energie Valsabbia, che si occupa di idroelettrico e solare, a dimostrazione che non è assolutamente vero che la laurea in filosofia non dà sbocchi professionali, fornendo competenza e saldi principi di coerenza), alle rimostranze di Mario Tozzi (che non mi sta molto simpatico) sull’impossibilità di trovare luoghi per stockare le scorie rispose fuor di microfono “non ti azzardare a dire che prendo dei soldi perché ti spacco la faccia”.
Siccome ormai tutti ne parlano, vuoi per il referendum, vuoi per le vicende di Fukushima, vuoi perché in Italia chi non sa una cosa la spiega agli altri, ho deciso di farmi un’idea leggendo qualche libro di cui darò conto nella prossima puntata e chiedendo a chi con l’energia elettrica ci lavora da anni. Non un laureato in filosofia, non un comico, non un ex magistrato ma Massimo Marzinotto, Senior Member dell’IEEE, Dottore di ricerca in ingegneria elettrica, a lungo ricercatore per l’Università “La Sapienza” e ora in Terna (società che si occupa della trasmissione dell’energia elettrica in Italia). L'ho torturato con domande idiote e luoghi comuni, è un miracolo se mi saluta ancora. Però qui do un sunto della nostra chiacchierata dopo avergli chiesto un permesso che non mi ha concesso (l'ho dovuto drogare di nascosto. Scusami ancora, se mi leggi!).

Secondo te il nucleare è una via perseguibile?
A dire il vero nella vita mi occupo di sistemi elettrici in alta tensione e non di produzione di energia elettrica; rispondo giusto perché sei tu e perché almeno continuiamo ad essere amici senza che mi rompi l'anima co 'sto blog.
Faccio un preambolo sugli impianti di produzione dell’energia elettrica.
L’energia elettrica non può essere immagazzinata e quindi deve essere prodotta al momento. Oggi nel mercato stanno comparendo i primi sistemi di accumulo di energia elettrica ma di fatto siamo ancora in una fase sperimentale e comunque per capacità di storage estremamente ridotte.
La richiesta di energia è costituita da una quota parte che non varia nell’arco della giornata (si pensi alle grandi aziende che richiedono grossi quantitativi sia di giorno che di notte) e da una quota parte che è invece variabile (il caso ad esempio delle utenze domestiche e di tutte quelle attività produttive che sono concentrate in determinate ore) per la quale il picco della richiesta è inoltre legato a variazioni stagionali.
Per quanto riguarda la quota invariante nell’arco della giornata vengono utilizzate le centrali “di base”, cioè quelle centrali che richiedono dei tempi di avviamento molto lunghi (dell’ordine di svariate ore) e quelle centrali che non è economicamente e tecnicamente conveniente “modulare” ad un livello di produzione che si discosta da quello massimo. Pertanto le centrali “di base” sono le termoelettriche tradizionali come quelle a olio combustibile, a carbone, nucleari e alcune di tipo idroelettrico come quelle ad acqua fluente.
Per la parte di richiesta di energia elettrica legata alle ore del giorno e al periodo stagionale vengono utilizzate le centrali “di punta”, cioè quelle centrali che richiedono dei tempi di avviamento immediati o quasi (non superiore all’ora). Pertanto le centrali “di punta” sono quelle idroelettriche a bacino, quelle di pompaggio, le turbogas, etc.
Ci sono poi quelle centrali che hanno delle priorità di produzione come le eoliche, le fotovoltaiche e quelle a biomassa: quando c’è disponibilità di produzione (ad esempio vento per le eoliche e luce solare per le fotovoltaiche) hanno priorità nella produzione.
Ma veniamo al nucleare. Questo tipo di centrali può essere un’alternativa - per quanto detto sopra - solo ad altre centrali “di base” e pertanto un confronto centrale nucleare vs. idroelettrica a bacino o un aerogeneratore non è corretto.
La produzione con il nucleare non immette fumi nell’aria come le tradizionali a carbone e a olio combustibile, ma produce scorie. La quantità di scorie prodotte da un impianto da 1000 MW è solo 5/6 m3 all’anno.
Per quanto riguarda la sicurezza invece possiamo tranquillamente affermare che gli impianti nucleari sono sicuri, a meno di eventi non rari, ma imprevedibili come catastrofi/cataclismi di particolare violenza. Secondo me rispetto a tutti i rischi cui siamo esposti oggigiorno, gli impianti nucleari sono più che sicuri.
Nel mondo esiste una consolidata esperienza nella produzione di energia elettrica attraverso il nucleare, non bisogna andare lontano dall’Italia per avere qualche “ritorno di esercizio” statisticamente significativo. Ad esempio in Francia ci sono quasi 50 impianti attivi. Nel mondo poi di attivi ce ne sono 442, di cui 148 in Europa. Inoltre 65 sono in fase di costruzione in tutto il mondo, di cui 8 in Europa.
Credo che con le tecnologie di oggi il nucleare sia una via più che perseguibile, ma non sono io a dirlo, ci sono scienziati di tutto rispetto a livello internazionale che sostengono questa tesi, perché dovrei pensare il contrario?

La tragedia di Fukushima, potrebbe ripetersi nei nuovi impianti?
La tragedia di Fukushima si è verificata in quanto i servizi ausiliari di emergenza non sono stati pensati in grado di resistere ad inondazioni da maremoto. Se a questo avessero pensato quarant'anni fa (quando è stato messo in servizio l’impianto) sicuramente non staremmo qui a parlare di un dramma.
Vista l’esperienza non solo di Fukushima, ma anche quella dei maremoti degli ultimi anni, credo che questo genere di catastrofe venga già presa in considerazione sia per un risk assessment che per un risk management di un nuovo impianto nucleare.

Quali sono i reali rischi di nuovi impianti?
Ti rispondo con un esempio: morire per incidente nucleare è cento volte meno probabile che morire in un incidente aereo e 400 volte inferiore al rischio di crepare per un banale incidente d’auto. Il rischio di morte per incidenti totali, (sinistri automobilistici, ferroviari, cadute, scoppi di gas, incendi, ecc.), è 1000 volte più alto del rischio nucleare. La conclusione è che, siccome accettiamo tranquillamente tutti i giorni il grande rischio di morire in un incidente d’auto, dobbiamo molto più tranquillamente accettare il debolissimo rischio, praticamente inesistente, di passare a miglior vita per un incidente nucleare. Tra la miriade di rischi di morte che affrontiamo tutti i giorni della nostra vita, quello nucleare è assolutamente il meno preoccupante perché è di gran lunga il più piccolo. Forse qualcuno potrebbe dire ma quante persone morirebbero per un incedente nucleare? Allo stesso tempo mi viene da dire “quante persone muoiono ogni giorno nel mondo per il fumo? e nessuno fa niente per impedirlo!”.

Esistono centrali nucleari che potrebbero usare altri tipi di materiali, anziché l’uranio, magari meno pericolosi dal punto di vista della radioattività delle scorie?
Al momento non credo.

Latina può essere rimessa in funzione o il suo impianto non è più adeguabile ai nuovi standard?
Se a Latina si ripartisse con il nucleare, si costruirebbe da zero un nuovo impianto.

Secondo te c’è una possibilità di raggiungere l’indipendenza energetica da parte dell’Italia?
Certo. Penso che il paese si stia muovendo in questo senso.

Quali sarebbero i tipi di energia più facilmente producibili in Italia col migliore rapporto costi benefici?
Ci sono grossi investimenti sull’energia rinnovabile, è questo è davvero un bene, ma per quello che dicevo prima non basta.

Secondo te c’è più probabilità di rivedere in funzione la centrale nucleare a Latina o che riusciamo di nuovo a suonare un po’ insieme?
Spero entrambi, anche se suonare insieme è sicuramente molto più probabile!


Non saltate alle conclusioni, ora, perché è solo un assaggio. Nella prossima puntata alcuni problemi maltrattati e che ritengo fondamentali per fare una valutazione consapevole. Ad ogni modo mi sembrava corretto partire da un parere “dentro” che, al di là delle onde emotive e i panici collettivi, desse conto di concetti basilari per affrontare la questione in maniera razionale e soprattutto non ideologica. Ci chiamano a decidere in merito a un tema sul quale siamo tutti impreparati e con un dibattito scientifico fermo da vent'anni. Alla prossima puntata.

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